Quanti debiti per Seat Pagine Gialle

Non si può pensare che il legislatore di un paese ad elevata civiltà giuridica, come è l’Italia, introduca scientemente nell’ordinamento giuridico istituti che si prestano all’elusione tributaria, in danno dell’erario e dei contribuenti più scrupolosi, ed a perversi effetti economici distorsivi, in danno della concorrenza e del merito. Eppure questo è quanto giuristi eccellenti, economisti di vaglia e giornalisti specializzati pensano dell’istituto denominato “fusione a seguito di acquisizione con indebitamento”, noto anche come “leveraged buy out”, disciplinato nel libro quinto del codice civile.

Il drammatico dissesto di Seat Pagine Gialle, che ha costituito oggetto di siffatta fusione nell’anno 2003 ed ha privato, nel corso delle gestioni successive, dalla fusione ad una cosiddetta ristrutturazione nel 2012, 300.000 (dato del Sole 24 Ore) azionisti di minoranza di consistenti risparmi (in miliardi di euro), è un interessante case study anche sotto questo profilo di rilevante interesse sociale, oltre che giuridico ed economico. L’azienda editoriale, che entra da decenni nelle case degli italiani con le gialle directories, è stata acquistata mediante ricorso all’indebitamento (per tre miliardi di euro) da fondi di “investimento” (!), in effetti privi dei giustificati motivi richiesti dalla legge, che nei mesi immediatamente successivi hanno ulteriormente indebitato la società (per quasi quattro miliardi di euro) per distribuirsi dividendi, che, a norma di legge, non possono essere pagati, se non per utili realmente conseguiti e risultanti dal bilancio regolarmente approvato.

L’imponente indebitamento, assunto dalla società, in virtù del meccanismo della fusione, nei confronti di Royal Bank of Scotland, che in seguito ha spalmato gran parte del credito sul sistema bancario, e della società anonima di diritto lussemburghese denominata Lighthouse (faro, in inglese, che ironia!), ha comportato il pagamento di elevati oneri finanziari, parimenti a carico della società, iscritti nel bilancio e dedotti dal reddito di impresa a fini impositivi. Malgrado i ricavi sicuri e consistenti (ben oltre un miliardo di euro) e il margine operativo lordo, più unico che raro, del cinquanta per cento (seicento milioni di euro ogni anno per ricavi di un miliardo e duecento milioni di euro), la gestione, a causa del debito, è entrata in affanno e il titolo azionario ha perso valore.

Gli oneri finanziari straordinari, assunti per acquistare a debito e per distribuire dividendi (in assenza di utili derivanti dalla gestione), hanno gravato il reddito di impresa riducendolo drasticamente e sottraendolo ad imposizione fiscale. La direzione ha dichiarato in merito nel corso dell’assemblea del 12 giugno 2012: “Tenuto conto delle dimensioni e della complessità dell’operazione, all’epoca furono acquisiti i pareri di primari studi professionali che esaminarono gli aspetti fiscali connessi all’acquisizione e all’assunzione dell’indebitamento.

Tutte le articolate operazioni di riorganizzazione connesse al processo di acquisizione sono state oggetto di verifica da parte dei competenti organi dell’amministrazione finanziaria. Una prima verifica fiscale è stata condotta nel corso del 2005 dall’agenzia delle entrate … e si è conclusa senza che fosse mosso alla società alcun rilievo in ordine alle operazioni compiute nell’ambito dell’acquisizione. Successivamente è stata condotta un’ulteriore verifica fiscale da parte della guardia di finanza che si è conclusa in data 15 marzo 2010 con l’emissione di un processo verbale di constatazione nel quale, sulla base dell’asserita elusività dell’operazione, veniva disconosciuta la deducibilità degli interessi passivi relativi ai finanziamenti concessi da Rbs e Lighthouse.

 Inoltre la direzione regionale della Lombardia ha notificato alla società un avviso di accertamento nel quale si contestava la deducibilità di una quota degli interessi passivi pagati da Seat sul finanziamento subordinato. Tutte le controversie sollevate nell’ambito di tali verifiche sono state definite mediante un accertamento con adesione sottoscritto in data 3 dicembre 2010. La società… ritenne di addivenire all’adesione esclusivamente per motivi di convenienza, in considerazione dell’incertezza connessa all’instaurazione di un eventuale contenzioso, nonché del sostanziale ridimensionamento della pretesa erariale rispetto a quella originariamente avanzata ad esito delle attività di verifica”. L’imputazione degli oneri straordinari alla gestione ha comportato, quindi, in virtù dei pareri dei primari studi professionali e del conforme orientamento dell’influente Assonime, ufficio studi della Confindustria, un risparmio tributario che la Guardia di Finanza ha ritenuto elusivo.

In base ai dati noti il risparmio potrebbe eccedere i due miliardi di euro. Gli avvenimenti successivi ai pareri eccellenti, certamente soggetti alla condizione che la fusione fosse legittima per la sussistenza dei giustificati motivi richiesti per il ricorso al delicato istituto giuridico, consentono la prospettiva che l’agenzia delle entrate possa richiedere il danno subito per il mancato pagamento in sede civile o concorsuale, concorrendo con gli altri creditori. Tanto più che di recente la cassazione penale ha rivendicato in materia l’autonomia del giudice penale rispetto al giudicato tributario. Non sembra che l’occasione possa essere trascurata per il rilievo economico e giuridico del ritenuto fatto elusivo.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:22