Il silenzio dello Stato sulla Tav in Val di Susa

Sulle brulle pendici del monte Musiné – alle porte della Valle di Susa – da troppi anni una grande scritta Tav=Mafia dà il “benvenuto” a chi transita in Valle e soprattutto alle persone che ancora la raggiungono come meta turistica per le loro vacanze estive e invernali, puntualmente restaurata quando sbiadisce. Quella scritta forse non è poi così sbagliata. Solo andrebbe opportunamente corretta alla luce dei fatti. Di certo quell’equazione apodittica e “inconfutabile” – visti gli ennesimi, ma sempre più gravi atti di intimidazione nei confronti degli imprenditori che lavorano ai cantiere di Chiomonte della nuova linea Torino-Lione – illustra molto bene quanto avviene in Val di Susa sotto gli occhi indifferenti di gran parte dei suoi abitanti. Perché dar fuoco alle strutture e ai mezzi di un’azienda, come è accaduto e più volte alla Geomont di Giuseppe Benente a Bussoleno, l’incendio dei mezzi dell’Imprebeton a Salbetrand, o seguire e minacciare fin sotto casa gli operai della Martina di Susa che lavorano al cantiere di Chiomonte, o ancora assediare e minacciare i titolari degli Hotel Napoleon di Susa e Ninfa di Avigliana - che ospitano appartenenti alle forze di polizia - cos’altro è se non intimidazione mafiosa? E non lo è occupare una autostrada per fermare con violenza, i mezzi che si pensano trasportare pezzi della “talpa”, la Tbm destinata a scavare la galleria di Chiomonte? Per ultimo, ancora una volta anche una cava/deposito dell’Italcoge di Susa, più volte già oggetto di “attenzioni” pirotecniche è stata incendiata martedì scorso, proprio mentre uno dei titolari era in televisione, a “Virus” su Rai2 da Porro, a raccontare la sua storia. E mafia non uguale omertà, complicità, silenzio e indifferenza nei confronti di questi gesti da parte di chi vive in quel determinato ambiente condizionato pesantemente dalla prevaricazione? La Mafia per definizione “esercita il controllo su certe attività economiche e su traffici illeciti, condiziona la libertà dei cittadini e il regolare andamento delle funzioni pubbliche; è retta dalla legge dell'omertà e del silenzio e si serve di metodi di intimidazione e di repressione violenta e spietata”. E che a far questo in Valle non sia il Tav, cioè gli stati italiano e francese che hanno deciso di costruire la nuova linea Torino-Lione, ma chi vi si oppone con la violenza sotto le bandiere del logo globalizzato NoTav è sotto gli occhi di tutti. Quella scritta, oltre ad essere illegale, costituiva e costituisce un marchio infamante e deleterio per l’azienda diffusa “Turismo” che in Valle occupa oltre 10mila persone ed esprime l’unica attività imprenditoriale che ancora regge, nonostante la crisi e le carenze strutturali ancora presenti. Nessuno allora mosse un dito, ma prendo atto che oggi negli uffici giudiziari vi sia una diversa attenzione ai fatti di questa Valle, che ormai è diventata un laboratorio e un campus per “rivoluzionari” e campo scuola per antagonisti e terroristoidi di mezza Europa. Quello che ancora oggi però appare spaventoso quanto paradossale è che mentre il grido di questi imprenditori trova solidarietà e cassa di risonanza nel Governo, negli ambienti politici a livello nazionale, regionale e torinese, nei giornali e nei telegiornali di prima serata, proprio in Val di Susa tutto passi quasi sotto silenzio. Come se quanto accade a poche decine di metri dalla propria casa fosse ormai indifferente ai più. Chi non scende in corteo con i NoTav e non è allineato al “pensiero unico” – con pochissime eccezioni – in questi anni si è evidentemente abituato a vivere e tollerare un clima bellico, proprio come accade in territori da sempre al fronte. Si rifugia nel proprio privato, facendo finta di nulla “per campare” e non avere guai. Ecco l’effetto ultimo e devastante delle intimidazioni di stampo mafioso. E mentre i “cattivi maestri” intellettuali, gli stessi che applaudono il BR mai pentito Giovanni Senzani (un “gentiluomo” avvistato in Valle come altri dello stampo di Oreste Scalzone) che recita in “Sangue” e racconta freddamente come fu sequestrato e ammazzato Roberto Peci, si esercitano a dissertare sui media – come ha fatto Erri De Luca – si fanno vetrina della Val di Susa nel sostenere il movimento antagonista con “perle di saggezza” quali “il sabotaggio è l’unica alternativa” e “la Valle darà l’ordine alle truppe di occupazione di tornare a casa”, rappresentando una realtà mediaticamente distorta, cosa fanno gli amministratori locali, le personalità di spicco dei diversi settori economici e professionali? I più, colpevolmente tacciano, compresi gli operatori turistici dell’Alta Valle, salvo poi indignarsi al prossimo blocco della autostrada magari al primo week-end della neve, per i “gravi danni economici e di immagine al turismo”. Quasi tutti gli altri, inseguiti dai microfoni o dai taccuini, se la cavano con contorti discorsi in politichese, nella perenne discussione interna alla sinistra sulla Tav, e immancabilmente trovano il bandolo nel prendere formalmente le distanze dalla violenza, ma nel comprendere le ragioni di questi gesti “perché la protesta si è identificata con la contestazione a questo modello di società e di Governo”. Se si è giunti a questo punto – purtroppo – è perché il tessuto sociale di questo territorio ha perso la memoria della propria e importante storia e si è disintegrato sotto la pressione del conflitto tutto politico ed endogeno determinato dalla vicenda della Tav, che pure, per come malamente era stato approcciato inizialmente il progetto alla comunità locale, aveva contribuito a creare uno spirito identitario di rivalsa. Oggi il conflitto contro il tunnel di base Susa-Saint Jean de Maurienne è un marchio global in mano a forze esterne alla Valle, che qui trovano supporto logistico, morale e manovalanza, ma non lo dirigono più. Anche se a far da collante e ideologi di questa sono e sono stati figure di “ex” terroristi di Prima Linea e affini, con le – cattive – radici ben piantate in Valle, che sin dagli ’70 perseguono i loro fini “rivoluzionari” dietro al falso mito della resistenza. C’è da chiedersi cosa accadrà ancora in Val di Susa se non si riuscirà a guardare oltre una galleria ferroviaria uguale ad altre costruite in questi anni nelle Alpi e provare a ricostruire una società normale. Una società che sappia scendere in piazza quando dei criminali dànno fuoco a un’impresa locale. Perché ora accade che in una città come Susa, che nel giro di un anno e mezzo dovrà veder cantierizzata l’opera principale, il tunnel di base, al mercato, anziché firme contro la violenza e le azioni degli antagonisti venuti qui ad assaltare il cantiere, in solidarietà alle imprese colpite da attentati e alle forze dell’ordine che con enorme professionalità sinora hanno subito senza reagire come forse sarebbe giusto, si raccolgono firme “contro la militarizzazione”! Cioè contro la rappresentanza dello Stato in Valle, in genere simpaticamente paragonata alle truppe naziste. Quassù infatti non c’è solo bisogno “di maggior presenza dello Stato” come a turno recitano i politici da Roma, ma soprattutto di maggior vicinanza di quel che resta di sano della società locale allo Stato. Rappresentato qui dai suoi ragazzi in divisa.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 10:59