
Anno 1990, un passo prima dell’Apocalisse. I reperti archeologici tv riportano alla vista una sociologia da macchietta che non si vergognava di confessarsi tale. Il festival di Sanremo, antica kermesse degli eredi della canzonetta lirica d’autore, della chanson etnica melodicoromantica napoletana, in perenne lotta con la canzone impegnata a sua volta simulacro abortito delle poesie del Marini, del Parini, del Foscolo e del Monti è alla sbarra.
La giustizia incombe ma ancora ce ne si può fare beffe. A mettere in scena il processo alla canzonetta, due guitti pugliesi, Arbore e Banfi. La Puglia è stata ed è terra di comici, pagliacci e teatranti. Là nel ridicolo Regnuccio protetto dagli alleati occupanti, parte il circo barnum di Polvere di stelle in un teatro sproporzionato troppo grandeur per la pochezza di attori, terre e pubblico. La filosofia del “Do’vai se la banana non ce l’hai” è la definitiva giusta conclusione caricaturata del Quo vadis, il giusto epitaffio del consumo millenario dei resti delle ossa culturali antiche.
Chi mai riuscì a portare tanta comicità nel calcio quanto gli Andoni Cassano e Conte? E i Matarrese-Materazzi? Non spopolano negli StrisciaTiggì tra i finti furbi Caprarica, Teocoli ed il volpino Giorgino? O nel cinema i Laudadio, le Guaccero-Mangini, i Piva, gli Scamarcio? No, no, non ci trattiene più: ecco Placido regista. Con le lacrime agli occhi tra rabbia e riso, ecco in schiera la politica: dal gran varietà degli Starace, Reale e Lattanzio ai Buttiglione, i Gifuni, i Giordano, i Mantovano, i De Castro, i D'Alema, i Visco, i Vladimiro Guadagno detto Luxuria, il duo azzimato e rovescio Fitto-Vendola? Si soffoca quasi dalle risate per l’involontaria comicità da Bel Gagà che disse agli amici.
E l’inventore del traformismo politico, Liborio Romano sembra una persona seria. Con lui si brinda al Regnuccio che può contare su stanche, frustrate nobili speranze, perdute e perdenti di Fieramosca, Miale da Troia, Manfredi, Tancredi, Giannone e Tommaso Fiore. Se Milano aveva TeleAltoMilanese, qui c’era TeleNorba ed il reuccio Marmone di “Catene”. Figlio degli Arigliano e delle Regina Bianchi, tutti suoi discendenti gli altri: gli Zagaria, le Gegia e le Lecciso, gli Al Bano Carrisi, i Nicola Di Bari, i Pappalardo ed i Leone di Lernia, gli Arbore, gli Abatantuono, i Raf-Ron, gli Zalone, le Corvaglia, i Caparezza, i Negramaro e Dolcenera ed i tarantolati. Certo, antichi sguardi seri guardano a tanta guitteria con corruccio. C’è Conte e c’è Causio. Mennea lo sapeva di avere la mascella di Totò, quella della fatica del vivere. Bene prendeva in giro sé stesso per giocarsi di tutto il resto. Livio Andronico, Federico II, gli Urbani VI e VIII, de Sanctis, Canfora, Tatarella, Laterza, Giovine, Grieco, Padre Pio non hanno parole. Sciocc ato Salvemini nelle liste anagrafiche molfettane verifica se non sia sua lontana progenie l’omonimo cantante Michele.
Questo mondo, da Modugno, Muti, Rota e Pazienza, portarono in scena in quel 1990 i guitti Banfi ed Arbore. I loro erano spettacoli molto popolari, nell’ambiente, anteveltroniani per così dire. Non spendevano in scenografie o in effetti speciali, in servizi o documenti. Facevano però lavorare centinaia, migliaia di comparse. Guardate bene alle platee, a queste schiere di comparsate, guardatele sorridere felici, mentre i guitti, coscienti dei limiti della loro rivoluzione Tv, addirittura citano il ministro Martelli per lodarlo e plaudirlo.
Tra le centinaia di comparse ci sono mille guitte tupamaros tv che nei vent’anni futuri faranno guerriglia con i microfoni; ci sono centinaia di promotori di comitati, di salvataggi della cultura, dei baronati accademici, degli enti inutili, e come bombe a mano, saltano monetine, da tirare a mostri sacri ed industrie sacre quelle che non ci sono più e quelle che barcollano oggi prima della rovinosa caduta. Oggi quelle monetine, tutte d’amianto, stanno a montagne ai piedi dell’Ilio d’Ilva, sulle sponde della quale l’ex guitteria delle platee ha dimenticato di aver abitato tendoni e roulotte da circo, si è presa sul serio e ci ha preso davvero per la collottola, fino a farci vivere la farsa tramutata in realtà, lungo una galleria dell’orrore che sembra non finire mai.
Tra quelle comparse C’erano anche i giudici di oggi che in quel 1990 con retrogusto amaro nascosto guardavano alla modesta e serena farsa di un Arbore presidente del Tribunale e di un Banfi avvocato della difesa. Solo Mirabella, pugliese come gli altri, nelle vesti di PM, voce della tenchiana condanna totale dell’italica Sanremo, poi ghigliottinata dall’ultima degenere guitta littizzetta, era nei suoi cenci; gli stessi che poi avrebbe indossato da Rai3 telekabul e Raialzhera tuonando sul serio contro i corrotti assieme agli ex giovani socialisti della politica dolce, dai Marrazzo ai Mentana, che sulla platea di arbore e banfi ridevano pregustando le fanciulle e Miss Italia un giorno loro destinate. Cantavano candidamente i guitti: “Che vo’ fa’, che stai a giudicare? Una canzone è bella se ti dà un’emozione.
E se amore fa rima con cuore che male c’è? L’importante è che amore sia amore e cuore cuore almeno per me.”. Invece no, amore e cuore, lo spogliarello della casalinga, come poi ha spiegato filmicamente la Guzzanti, erano i golpisti tarli della dignità, della democrazia, del diritto popolare all’austerità; erano il qualunquistico oppio dei popoli che tornavano. Ghignanti maschere di sangue, da Grieco alla brigatista Desdemona Lioce, intenti a sollevar le fauci dal Moro di retro guasto, guardavano con odio la presa in giro della Giustizia fatta dai guitti. La stessa fatta da Sordi nelle vesti del pretore d’assalto impazzito, quella cantata dalla Raffà in “Mio caro Presidente”, e messa in scena da un Banfi-commissario Zagaria nel falso arresto di Baudo nell’85. Motivo: circonvenzione d’incapace di massa. La stessa scomunica rivolta da Serra e Moretti a chiunque non sia stato sempre e comunque antiberlusconiano dal quel 1990 in poi, tra gli applausi delle centinaia e migliaia delle ex ridenti comparse. Il processo all’Italia non è più finito, fino alla stancante ed infinita disfida di Berletta.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:49