
Come avvocato, non posso esprimere un’opinione su d’una sentenza di Cassazione di cui non ho potuto leggere la motivazione, ancora non pubblicata, a conclusione d’un processo che non ho seguito. Le cronache giudiziarie della stampa quotidiana non brillano mai per attendibilità. Come cittadino, peraltro, mi interessano le conseguenze politiche, l’agibilità pubblica del leader d’uno schieramento che ha raccolto poco meno della metà dei voti espressi alle scorse elezioni, e condannato ad una pena detentiva.
Ci sarebbe, tra l’altro, da ripensare ai meccanismi dell’immunità parlamentare, istituto tanto vilipeso, ma pensato appunto per porre al riparo il sistema rappresentativo da queste angustie. Comunque, sulla situazione generatasi non si può non condividere la constatazione d’Arturo Diaconale, in risposta alle dichiarazioni di Gaetano Quagiariello. Rilevare la spaccatura, nel PDL, fra falchi e colombe, e nel PD fra governativi ed alternativi non significa che tutti costoro esprimano un disegno politico in grado d’indicare un futuro. Paradossalmente, per altro, una prospettiva ha saputo disegnarla Enrico Letta, anche se è seduto a tappare un vulcano che può esplodergli sotto da un momento all’altro, e forse proprio per questo. Prospettiva nata dall’intuizione che il dato di fatto del susseguirsi, nel 2014, della presidenza italiana alla presidenza greca dell’Unione europea dà il destro, ai due Stati membri mediterranei che più soffrono per l’attuale crisi, d’avere a disposizione un anno, se avessero un disegno comune, per riformare seriamente l’Unione europea, vedere oltre la miopia dei crucchi legati ai conti della serva, e concepire un passo avanti in un’integrazione politica che ponga così sotto controllo un’integrazione economica che, lasciata a sé stessa, si risolve nello strapotere della finanza globale.
Silvio Berlusconi, costretto dai fatti a non lasciare la guida della Destra, ed ondeggiante fra il tentativo d’essere tra i padri della Costituzione europea nel 2004 alla minaccia di uscire dall’Euro di qualche tempo fa, deve riflettere sulla frase d’un giudice tedesco, secondo cui lui non avrebbe mai potuto condannare nessuno perché non poteva non sapere, in quanto nella Germania vige la personalità della responsabilità penale e, quindi, la necessità di prove certe inerenti specificamente l’imputato, e la realtà dei giudici egiziani, che processano Hosni Mubarak e si preparano a processare Mohamed Morsi, entrambi con molte colpe, ma rei soprattutto d’essere stati deposti. Si tratta di due civiltà giuridiche diverse, e chiedersi quale sia la scelta del Cavaliere è retorico, dato che la giustizia all’egiziana è certamente meno piacevole della presunta nipotina di Mubarak. Questo significa, quanto all’Unione europea, trarre le conseguenze dell’equiparazione, sancita col Trattato di Lisbona, ad un trattato istitutivo della Dichiarazione di Nizza sui Diritti fondamentali dell’unione europea. Si sa, per giurisprudenza costante della Corte di giustizia, che le norme nazionali in contrasto con le norme comunitarie vanno disapplicate.
Se le norme della Dichiarazione di Nizza equivalgono alle norme dei trattati istitutivi, le norme nazionali penali o procedurali che vi contrastassero, così come quelle civili od amministrative in analoga situazione, andrebbero disapplicate. Il processo appena concluso è andato così, ma ve ne sono altri in corso a carico di Pierino la peste della repubblica, o di Repubblica. Perché non chiedere l’interpretazione in via pregiudiziale di ciò alla Corte di giustizia, con riferimento a disposizioni precise della Dichiarazione di Nizza? Faccia studiare Ghedini e Coppi, altrimenti veramente avrebbero fatto meglio a fare i magistrati, come consigliato dalla mamma della ben nota barzelletta. Quanto al processo conchiuso, se fosse rilevabile un contrasto con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del Consiglio d’Europa si potrebbe ricorrere alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Qui, tuttavia, siamo in piena emergenza istituzionale. Il Consiglio d’Europa non è un’Istituzione sopranazionale, come l’Unione europea, è una mera organizzazione internazionale, fondata ben prima delle Comunità europee, col trattato di Londra del 5 Maggio 1949, ma ha, con la Corte europea dei diritti dell’uomo, un efficace sistema di garanzia dei medesimi, con una storia ed una giurisprudenza ormai gloriosa.
Tuttavia, dopo la caduta della “cortina di ferro”, uso l’espressione di Sir Wiston Churchill che volle il Consiglio d’Europa, conta oggi 47 Stati aderenti, molti dei quali ancora molto lontani da un soddisfacente garantismo, si pensi all’Ucraina ed alla Federazione Russa. Ciò ha portato alla lievitazione enorme del numero dei ricorsi, mentre gli Stati aderenti al Consiglio d’Europa, reso omaggio alla virtù entrando nell’organizzazione paneuropea, colgono a pretesto la crisi per non adeguare le risorse a disposizione della Corte, come più volte denunciato dalla L.I.D.U., la Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo. Silvio Berlusconi, come Capo di governo, a suo tempo avrebbe potuto fare di più, ma forse avrebbe dato un dispiacere all’amico Vladimir Putin. Così ebbe buon gioco l’ineffabile Gustavo Zagrebelsky nel trovare che quella Corte, sommersa dalle carte, avrebbe anche potuto risparmiarsi la perdita di tempo di motivare le decisioni d’irricevibilità dei ricorsi, e selezionare i più urgenti con una specie di corsia preferenziale. Insomma, quelli dell’uomo qualunque e scomodi possono attendere. Nonostante tutto questo, e Gustavo Zagrebelsky, la Corte europea dei diritti dell’uomo continua a fare miracoli, ma il comportamento indecente degli Stati aderenti al Consiglio d’Europa costituisce una questione politica, che il Silvio Berlusconi capo partito dovrebbe porre nell’agenda politica, nell’interesse del Silvio Berlusconi possibile ricorrente.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:52