La pacificazione è un atto di giustizia

Non servono falchi, tanto meno colombe o qualunque altro esemplare di volatile. Non servono le parole grevi in libertà o l’evocazione della guerra civile anche perché non c’è nessuno in Italia da rastrellare casa per casa e giustiziare sulla pubblica piazza. La maturità di una democrazia adulta non si misura dai proclami tendenti ad atti di forza o dalla violenza verbale ma dal grado di corresponsabilità che i cittadini assumono nella gestione della cosa pubblica. Sarebbe necessario che tutti andassero a rileggere un discorso del 1860 di Francesco Crispi che insiste sulle necessità che tutti comprendano che «in politica non esistono nemici ma solo avversari». La questione italiana non è trascendentale ma pragmatica che passa attraverso solo una pacificazione nazionale ed una riforma magistrale della giustizia.

Il più elevato potere dello Stato, quello della giustizia, è quello di rendere e non di negare la giustizia. Correva l’estate dell’anno 1994, Berlusconi era sceso "in campo" e l’Italia giocava i mondiali americani battendo la Bulgaria. Nel frattempo cominciava la guerra dei vent’anni con l’idea di eliminare gli avversari politici per via giudiziaria. Dopo la sentenza della Corte di Cassazione sul processo sui diritti tv di Mediaset e la condanna di Silvio Berlusconi, è sempre più urgente l’esigenza che la politica del nostro Paese prenda coscienza della necessità effettiva e metta in campo una riforma liberale della giustizia, senza devianze dalle finalità che essa deve perseguire, senza che nessun cittadino subisca pene ingiuste ed umiliazioni che non hanno meritato e senza taluni magistrati politicizzati che non sappiano che quello giudiziario non è un "potere" ma un "Ordine" dello Stato. Il monito di Cicerone nel "De legibus", «Legum servi sumus ut liberi esse possimus» (siamo tutti servi delle leggi per poter essere liberi), deve essere la via obbligata di ogni cittadino per vivere in un sistema democratico.

In Italia lo scontro tra politica e parte della magistratura protagonista e militante, che ha usato la giustizia per fini politici, ha innescato, per far prevalere una parte politica sull’altra, un meccanismo implacabile e distruttivo non solo nei confronti di chi n’è stato vittima, ma soprattutto di chi in ragione del proprio ruolo politico o professionale n’è stato in un modo coinvolto o anche solo sfiorato, in questo caso Silvio Berlusconi e tutto il Centrodestra. La condanna, nei termini e con le modalità fino ad ora applicate, contro Silvo Berlusconi è esclusivamente un problema di democrazia e una brutalizzazione del Diritto e non un problema di tenuta del Governo, che sta facendo del proprio meglio in questo particolare momento di congiuntura economica. La condanna è la delegittimazione di tutti quei cittadini-elettori che nel corso di tanti anni hanno votato per una forza politica e rappresenterebbe tutto il centrodestra come "correi" del proprio leader e di conseguenza impresentabili.

 Una condanna, questa, inflitta contro ogni logica dai giudici del Tribunale di Milano che non hanno tenuto conto di due sentenze della Corte di Cassazione che hanno stabilito l'insussistenza di quei fatti e comunque l'estraneità di Silvio Berlusconi alla gestione di Mediaset proprio negli anni in questione. In qualunque altra sede giudiziaria, a fronte di decisioni consimili si sarebbe doverosamente ed immediatamente pervenuti ad una sentenza più assolutoria. È urgente, quindi, un impegno da parte di tutti è la ricerca del bene comune ma deve essere anche un impegno di protesta per far uscire il Paese dalla logica giustizialista e dalla visione di avere una parte della magistratura con un ruolo politico condizionante, anomalo, unilaterale condito da devianze ideologiche, interessi diversi e troppe sudditanze.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:51