Giustizia: emergenza (ormai) infinita

Ci dispiace per il Dott. Berlusconi che avverte una Giustizia contra personam, una emergenza Giustizia che lo tocca personalmente. È legittimo che i militanti del PdL capeggiati dalle amazzoni del Cavaliere abbiano protestato davanti a Via del Plebiscito. Bene hanno fatto le ieratiche sacerdotesse del tempio di Giove ad interrogare gli Dei pagani della Giustizia. Siamo contenti che recentemente il senatore Fancesco Nitto Palma, ex Magistrato, abbia convocato un'assemblea del PdL per segno di solidarietà nei confronti del presidente Berlusconi, ma 20 milioni, ripeto 20 milioni di italiani da 40 anni, ripeto da 40 anni, vivono in presa diretta o come si dice inelegantemente sulla propria pelle l'emergenza giustizia. Una emergenza lunga 40 anni, con la prospettiva di altri 40 anni se l' unica speranza è quella dei referendum di Pannella. Chiedere a Pannella di affrontare il problema Giustizia in Italia è come chiedere all'On. Carfagna di relazionarci sul bilancio dello Stato.

 Tuttavia, Berlusconi e l’esercito buono di Deputati e Senatori (qualcuno si salva e sono pochi) non si possono ricordare dopo 20 anni di attività politica del problema Giustizia solo quando i processi e le sentenze investono il Cavaliere. In 20 anni al Governo o all'opposizione il compito sull’emergenza Giustizia è stato a somma zero. Anche perché parlare di Giustizia (non quella dei processi Berlusconi) con quelli della sinistra è come parlare con Magistratura Democratica. Va pure bene difendersi se si ritiene di essere attaccati, accerchiati, utilizzando ruoli e funzioni istituzionali da una parte e dall'altra, ma dato che a chiacchiere vi volete interessare del bene comune, degli interessi della gente, dei problemi dei cittadini diteci un provvedimento assunto, la soluzione di un piccolo problema nel caos delle procedure. Nulla. Nelle cancellerie d'Italia il personale amministrativo nei Tribunali è allo stremo. Sono pochi, non hanno spazi sufficienti, gli adempimenti sono innumerevoli, una normativa procedurale da Medioevo; non è possibile smaltire neppure le incombenze quotidiane.

Le Regioni hanno un terzo del personale in soprannumero in proporzione ai carichi di lavoro. È difficile trasferire giovani laureati, diplomati che mortificano la propria dignità, offendono la propria crescita professionale, disincentivano il loro impegno lavorativo, soggiornando dietro una triste scrivania senza carte da esaminare? Un invito alla disaffezione per il lavoro, visto come frustrazione, demotivazione, inutilità. Lavorare in una cancelleria di Tribunale significa imparare una professione di alta qualità tecnica, svolgere un compito di grande utilità per il funzionamento della amministrazione della Giustizia, di supporto per i Magistrati, Avvocati, di riduzione dei tempi dei processi. È difficile convincere questi dipendenti a posto fisso a chiedere di andare a lavorare nei Tribunali e trasferirsi senza traumi nella stessa città da una strada all’altra? Penso proprio di no, perché anche i sindacati dovrebbero essere d'accordo se non fossero stoltamente chiusi nei loro demenziali astratti diritti. I comuni hanno molteplici locali abbandonati, occupati abusivamente, immobili che rendono zero all'amministrazione. Invece di proclamare che si vuole rivoltare la Regione come un calzino ( ma ha detto pedalino perché è de’ borgata, come il fratello), di annunciare di liberare Roma dai barbari (il Sindaco ha visto troppi films) potrebbero fare, dico fare, delle cose utili per tutti, senza distinzioni di appartenenze a famiglie politiche più o meno legittime.

 La proprietà sarà pure un furto come insegnavano i socialisti dell’800 e la casa un diritto, al quale dovrebbe pensare lo Stato (!), ma un Tizio da anni non paga il canone di locazione, da anni si tenta di eseguire lo sfratto. Un giorno (dopo anni di fallimenti) si mettono insieme l’ufficiale giudiziario, il fabbro, gli agenti di pubblica sicurezza, il veterinario, ed il medico. Quest’ultimo si presenta dopo 3 ore; ha fatto tardi per il traffico. Erano andati tutti via. Si rimanda a due mesi dopo; stessa trafila. Due giorni prima del giorno dell'accesso per lo sfratto ( luglio di quest' anno), per scrupolo viene chiamato al telefono il medico, lo stesso. Guardi sono al mare, mi è capitata una occasione con mezza pensione. Ma almeno poteva fare una telefonata. Sì, ma l’ho saputo all’ultimo momento; tuttavia ho delegato il collega di studio. Non sa che non è possibile. Il medico non viene scelto dal proprietario che agisce sullo sfratto; lo designa il Tribunale con una procedura tra quelli iscritti in un apposito albo, previa domanda, che viene esitata dopo qualche giorno. Il Prof. Inchino narra sul corriere della sera del 15 luglio una triste odissea per registrare un contratto. Il sottosegretario al ministero “X” si rende conto che i numerosi uscieri potrebbero essere trasferiti in qualche ufficio, invece di essere adibiti a dire “buongiorno”, quando arrivano i Ministri, i Sottosegretari, i Capi.

 Sono anni che denunciamo e questo giornale per primo, che la vera rivoluzione è abbattere gli apparati dello Stato burocratico, introdurre nella Pubblica Amministrazione i principi e l’organizzazione del lavoro aziendalistici (che brutta parola direbbe Vendola), che costa la metà del Reddito Nazionale, ma si continuano ad ascoltare le idiozie di Vendola e compagni. Gli economisti più avveduti e tra essi Giavazzi ed Alesina, come pure il tanto criticato Monti (ingiustamente), ripetono inascoltati che bisogna ridurre la spesa pubblica. Almeno si potrebbe riorganizzare il personale, una equa e razionale distribuzione della forza lavoro in funzione dei carichi di lavoro, per migliorare la qualità dei servizi e diminuirne i costi. Un modo per vincere le disuguaglianze tra chi lavoro troppo e chi lavoro poco con lo stesso stipendio. Anche i Sindacati dovrebbero essere d'accordo. Un po' meno cortei e manifestazioni nelle piazze e un po' più di operatività per rendere la Pubblica Amministrazione un po' più azienda, che non è un termine che possa evocare il male assoluto.

 Leggere la realtà di un grande Paese è cosa buona e giusta, ma estremamente difficile, anche da parte di studiosi di alto lignaggio. Molte e complesse le variabili da considerare e i loro reciproci condizionamenti, molti i segmenti che compongono il sistema Paese ed i loro effetti collaterali. L'esame di un singolo segmento, la comparazione di come viene affrontato in altri contesti e Paesi, difetta della semplice considerazione che una variabile, un settore di una parte delle attività di gruppi e soggetti di varia origine e natura non può essere confrontato se non viene esaminato parallelamente il tutto. Per l' Italia il primo esame va posto nei confronti dello Stato, dell’ordinamento giuridico-legislativo, dell'organizzazione istituzionale ed amministrativa, delle norme che regolano il mercato finanziario, delle condizioni della libera iniziativa, delle concrete possibilità per la nascita e lo sviluppo delle attività economiche, dei controlli. La piazza urla, lo Stato è assente, senza capire che se fosse vero sarebbe cosa buona e giusta. Lo Stato (inteso come apparato) è troppo presente ed è fonte di ostacoli, inefficienze, corruzione, impiego improduttivo di risorse. Lo stato così come è strutturato in Italia, è il primo nemico del cittadino, delle famiglie, degli imprenditori, dei professionisti, dello stesso Governo e dei suoi Ministri.

 Lo Stato non favorisce l'uguaglianza tra diversi, altera la meritocrazia, mortifica la produzione del fare, determina privilegi; è di fatto l' esatto contrario dell'economia sociale. Ovviamente ho usato impropriamente il termine " Stato" proprio per la stessa sintesi concettuale, con la quale la piazza lancia il proprio messaggio di disperazione. Il termine "Stato" andrebbe specificato in tutta quella miriade infinita e poco conosciuta di Enti territoriali e non, di Autorities, di associazioni, di sindacati, di fondazioni, consorzi, di organismi pubblici e privati che si arrogano diritti, prerogative che frenano ogni utile iniziativa, annacquano ogni riforma, generano una palude dove l'unica possibilità è quella di non fare, di lasciarsi morire mentre altri Paesi tentano la via del Rinascimento.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:10