
Chi scrive in passato, anche da queste colonne, ha dovuto sviluppare una critica senza riserve all’Alto Rappresentante, cioè una sorta di ministro degli esteri e della difesa, dell’Unione europea, la baronessina britannica Catherine Ashton. Infatti fu totalmente assente nelle vicende delle “primavere arabe”, sino a brillare per mutismo assoluto di fronte a due Stati membri dell’Unione europea, Francia e Gran Bretagna, che provocarono la guerra civile in Libia non per difendere i diritti dell’uomo, di cui fece indubbiamente strame la dittatura del colonnello Gheddafi, ma per combattere gli interessi in quel paese, non solo petroliferi, d’un terzo Stato membro, l’Italia.
Pertanto chi scrive non può che plaudire, piacevolmente sorpreso, all’intervento di Lady Asthon in Egitto, nel non certo facile tentativo di operare perché la crisi egiziana, in bilico sull’orlo d’una guerra civile fra fondamentalisti islamici e borghesia liberale, trovi una via d’uscita relativamente stabile e passabilmente democratica. Che l’Egitto pesi sulle sorti più europee che nordafricane non è una novità, perlomeno da Alessandro Magno, passando per le vicende politico erotiche di Giulio Cesare e Marc’Antonio, per finire a Napoleone, alle vicende dello scavo e gestione del Canale di Suez, ed a El Alamein. La novità è che chi ha la responsabilità politica delle relazioni internazionali dell’Unione europea si muova e cioè, sebbene il suo portavoce Michael Mann dichiari lo faccia senza un piano, ma in politica i piani ci sono soprattutto quando si nega che ci siano, si comporti come il titolare della diplomazia d’un Europa con un qualche potere federativo politico. Solo un Europa del genere può sviluppare un disegno mediterraneo, come quello che stanno cercando di tessere tra loro i Capi di governo italiano Enrico Letta ed ellenico Antonis Samaras, in vista dei due semestri di presidenza dell’Unione europea dei rispettivi Stati membri, nel 2014.
Sebbene sia difficile pensare che un’Unione europea in profonda crisi economica e sociale, stimolata da due Stati membri che la vivono sulla loro pelle in modo particolare, possa dedicarsi a vasti disegni politici, bisogna ricordare quanto scrisse nel novecento uno dei più illustri economisti ed antesignano della federazione europea, Luigi Einaudi, e cioè che è la politica a guidare le vicende economiche. Questo è vero soprattutto adesso. Infatti la crisi attuale, molto diversa da quella del 1929, è determinata da un’usurocrazia bancaria fuori controllo, in quanto le banche, che dovrebbero raccogliere risparmio per finanziare, con gli anticipi, l’attività produttiva non lo fanno più: obbligano i governi a coartare a passare per ogni operazione attraverso di loro cittadini i quali, pur di non mettere i soldi in banche che non li remunerano più, li depositerebbero volentieri sotto una mattonella di casa, e poi usano i danari estorti non per concedere credito alle imprese ma per giocarli sul mercato finanziario e “fare la cravatta” ai malcapitati. Ciò in quanto il marcato finanziario sviluppa disegni globali, mentre i governi europei a malapena gestiscono poteri nazionali e, con quei paraocchi, sono fissi nel guardare il loro ombelico, ad esempio una sentenza di Cassazione, e non vedono il mondo che li sovrasta.
Invece un Unione europea che si facesse promotrice d’una confederazione mediterranea per la democrazia, intendendola etimologicamente come “forza dei popoli”, o che si coordinasse col Consiglio d’Europa in espansione per una politica paneuropea, fondata sulla promozione dei diritti dell’uomo fino agli Urali, e forse oltre, svilupperebbe un ondata d’incivilimento che le consentirebbe di smarcarsi da una limitazione di fatto della sovranità, imposta ai suoi Stati membri dall’usurocrazia globale. Ne va della civiltà. Non bisogna temere Alba Dorata o Casa Pound rivolgendosi all’esorcista, bisogna fornire risposte civili alle istanze sociali che esse interpretano, cioè sviluppare una dimensione politica in grado di governare il globalismo e non farsi dominare da disegni globali lontani dai popoli per rachitismo politico nazionale. Non so se la baronessina britannica lo abbia capito, fino a che punto Enrico Letta ed Antonis Samaras se ne rendano conto, sono certissimo del convinto federalismo europeo di Emma Bonino, mi auguro che negli Stati membri e nelle Istituzioni dell’Unione europea vi sia un residuo numero di statisti sufficiente.
Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 10:41