
Potrei liquidare le dichiarazioni di Stefano Fassina sull’evasione fiscale “di sopravvivenza” e l’immediato plauso di Brunetta con un ironico “come volevasi dimostrare”. Ma l’uscita del viceministro merita qualcosa di più di una battuta. Essa consente di analizzare le reazioni che ha scatenato a sinistra e di porre l'accento su uno snodo cruciale del funzionamento del sistema paese. Le reazioni della sinistra sindacale e politica alla banalità esposta da Fassina sono state quelle più prevedibili: dal paternalismo alla scomunica. E discendono da una matrice culturale ben descritta da Ricolfi su La Stampa domenica: “Quando i fatti mettono a repentaglio l’ideologia, il riflesso meccanico della cultura di sinistra non è correggere o adattare l’ideologia alla realtà, ma correggere la realtà negando i fatti; […] potremmo definirla l’incapacità di tollerare le dissonanze”.
A prescindere dalle cose che Fassina ha detto, la sinistra (e in particolare il Pd) farebbe bene a fare i conti con questo suo limite strutturale se le interessa il voto di quella fetta di cittadinanza che sa bene che questo nostro disgraziato paese ha bisogno di archiviare le vecchie pratiche consociative, se non collusive, del passato. Per dirla con Marco Alfieri: “L’Italia del Dopoguerra è un Paese che fonda il proprio accumulo di benessere su una strana costituzione immateriale: un settore pubblico sterminato e inefficiente usato da ammortizzatore sociale; un settore privato, artigiano e di piccolissima industria a cui si concede il vizietto dell’evasione. Finché il patto improprio ha funzionato, ha prodotto ricchezza per tutti, senza che nessuno muovesse un dito per denunciare l’imbroglio.
La crisi mondiale ci restituisce un Paese in mutande, con 100 e passa miliardi di evasione fiscale, un settore pubblico elefantiaco e un debito pubblico fuori controllo”. Dopo le elezioni, Fassina è stato in prima linea al fianco di Bersani nel chiedere un governo di cambiamento. Quel tentativo è fallito: il Pd non era credibile nel proporlo e il M5S era interessato solo a campare di rendita. Abbiamo un governo diverso, che non ci piace. Ma per le stesse ragioni per cui non ci piace, paradossalmente, potrebbe proporsi per iniziare un altro genere di cambiamento; quello di chi si candida - “con la fatica quotidiana del riformismo” - a rimuovere i residui di quel “patto improprio” ben descritto da Alfieri. Le dichiarazioni di Fassina vanno in questa direzione? È questo il cambiamento che il Pd è pronto a proporre innanzi tutto alla propria parte politica? Un cambiamento faticoso, lo si è visto anche in questa occasione, perché va a toccare meccanismi consolidati e resistenze corporative solidissime.
Le partite si giocano con le carte che si hanno. Vuole il Pd giocare la partita della modernizzazione del Paese con le carte che si è dato perdendo elezioni già vinte? Le parole del viceministro sono il segnale di questo? Se il governo su questo fronte facesse sul serio, probabilmente non resisterebbe alle fibrillazioni (il Pdl e Brunetta, infatti, vedrebbero scoperto il loro bluff), ma chi lo ha proposto ne guadagnerebbe in credibilità e sostegno della parte migliore del paese. Cinicamente: se il governo deve soffrire e forse cadere, è meglio se lo fa perché il Pdl non porta a casa l’abolizione dell’IMU o perché il Pd non porta a casa la modernizzazione del Paese? Se Fassina volesse zittire i critici più pelosi partirebbe da qui per dimostrare che lui con Brunetta e Berlusconi non ha nulla a che spartire sul piano dell’idea di paese. Ma ne dubitiamo: l'uomo ci ha abituati a repentini cambi di opinione per adattare le sue opinioni al proprio percorso politico.
Tratto da http://www.qdrmagazine.it
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:47