
Cupido, correndo, urlando, colpì le perle sul pelo; s’incolpò d’essere super e per la Curlandia partì. Luogo leggendario, la Curlandia, territorio baltico dove l’ordine teutonico dei portaspada ( poi esaltati da Stalin quale esempio per i quadri di partito) cristanizzò i curi. Con metodi non troppo pacifici, tanto che a Roma ci si chiese perché (cur) i curi fossero tanto restii alla civiltà. La loro terra così diventò la terra del perché con tanto di punto interrogativo. Anche Cuperlo evoca il punto interrogativo pur restando figura modesta e leggendaria.
Un’Enea della Togliatteide. Ci si chiede dove sia stato negli ultimi trenta dei suoi 52 anni. Certo, era nelle segreterie dei tanti segretari dei tanti partiti eredi del Pci, eppure sempre lo stesso. Era nei muri, nelle ombre che su quei muri proiettavano le lampade sugli scrittorii, era sugli orli degli schermi dei Pc, poi dei notebook, infine dei tablet adottati su quelle scrivanie. Gli amici lo fanno pieno di interessi e passioni, ma sotto il caschetto biondo monastico, il Cuperlo sembra ermetusmo allo stato puro. Da 7 anni siede in Parlamento senza esagerare tanto che non ci si ricorda se ci sia stato davvero.
In una partitica che valuta solo il potere d’amministrare ( dei 400mila eletti, 12mila dei collegi sindacali, 23mila consiglieri e 3mila incarichi apicali nelle 3.600 aziende partecipate dal pubblico) stigmatizzato dal Nostro, Cuperlo ha fatto e fa solo il burocrate di partito, figura mitica e dinosaurica. La base lo dice con forza e con convinzione; lo attestano le buste paga dei tanti partiti e delle plurime fondazioni eredi del Pci, (eppure sempre lo stesso). Cuperlo lavorava e lavora al partito; lavorava e lavora al progetto, lavorava e lavora alla comunicazione dei tanti partiti eredi del Pci, eppure sempre lo stesso. Non a caso, laureato in comunicazione al Dams di Bologna, Cuperlo, rappresenta uno di quei rari casi in cui il laureato può lavorare nel campo dei suoi studi. Poiché conosce la materia, le dà, dal suo punto di vista, il giusto valore, cioè quasi niente.
«Ho sempre avuto grande rispetto per la comunicazione politica. C’è un primato della politica sulla comunicazione. Se non ci sono valori, programmi e obiettivi, è impossibile comunicare quello che non c`è”. Ecco Cuperlo, dottore in comunicazione, che non crede alla pubblicità; pur sapendo che sono la stessa cosa. E’ un gigante della comunicazione. Se gli si chiede qual è il programma che darebbe al Pd da segretario, è chiaro: “Andare a fondo”. Sul dibattito interno è altrettanto categorico: “Basta zercar”(dal titolo di un suo libro del 2010). Come dire, basta cercare, basta discutere, è inutile. Ecco Cuperlo, a 52 anni eterno giovane, già vecchio quando nei primi ’80, si aggirava da leader dei giovani Fgci in un Dams bolognese che odiava il Picci, il partito del potere emiliano. Il triestino Cuperlo passò i suoi fantastici anni universitari in treno tra città natale, Firenze, Bologna, mimetizzandosi nelle assemblee tra gli altri studenti, mostrandosi pacifista, ambientalista, antisovietico, per poi riparare con i colleghi Fgci a tirare freccette al fotobersaglio del nemico Craxi.
Negli anni del riflusso si attaccò all’ultimo simbolo antifascista rimasto, la bomba del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna finchè, più morto che vivo, arrivò alla Bolognina dell’89. Da due anni si era trasferito a Roma, e da un anno era, su scelta Maxima, leader della Fgci. E’ un riflessivo, il Cuperlo e tutt’oggi vede nell’abbandono del nome del Pci fatto da Occhetto, “un gesto troppo brusco, una rottura troppo netta”. Chissà quale sarebbe stata, per lui la data giusta per non dirsi più comunista, chissà. Ancora oggi ritiene che “il limite fu di ripiegare nel nuovo e nell`oltre». Viso diafano, quasi un Giovanni alla Leonardo, né maschio, né femmina, né benedetto, né maledetto, è il fratello gemello smarrito alla nascita dell’attore inglese Paul Bettany, l’interprete del monaco assassino Silas ne Il codice da Vinci.
Come per il monaco, lo sguardo riflessivo e razionale può in un attimo farsi fanatico se si tratti di difendere il suo mondo, la sua chiesa. La chiesa di Papagianni. Non si deve pensare il Cuperlo, come appare, un abatino, alla Gianni Rivera. Cuperlo detto Gianni, non scese mai nemmeno in campo. Gestiva la comunicazione del partito, ma la Rai era terreno di caccia del capo della cordata avversa, Veltroni. Per criticarlo nel 2004 scrisse“Par condicio. Storia e futuro della politica inTV” e nessuno se ne accorse. Discreto successo ebbe invece “Un paese normale” scritto da negro per il capo. A entusiasmarlo dai ’90 in poi furono i traslochi continui fatti da Cosa1, Cosa2, Pds, Ds, Pd ad ogni cambio nome e linea. Immedesimatosi, cambiando treno e città, nella generazione T, dei traslochi, la definisce oggi come “una generazione di nomadi”, compiacendo una partitica Rom. Se negli ’80 si sentiva schiacciato, costretto all’esilio interiore dal riflusso, dopo soffrì ugualmente a causa del berlusconismo.
Facendo e sfacendo i bagagli come quando era studente, si è convinto che il Partito Democratico sia un incompiuto nazionale, l’Italia un “Paese non-Paese” e l’inno nazionale una summa di “parole contorte e poco comprensibili. Gianni capisce che è il Pd contorto e incomprensibile. Un partito “con”, “per”, “lo”, cui mancano le necessarie parole seguenti. Da uomo di sinistra che vorrebbe se non al Pci, almeno tornare ai Ds, da “il più veltrioniano dei dalemiani”, come Dante era il più ghibellino tra i guelfi, Cuperlo stravede per lo scrittore texano Lansdale, variante destra di Stephen King, cui contende il palmares tra gli scrittori pulp; ma solo perché non può ammettere di idolatrarare Tolkien, riservato al pubblico destro. Nell’eterna lotta guelfoghibellina, la testa pensante capisce di dover sacrificare tutto, anche l’intelligenza, alle ragioni della fazione, anche quando come nel caso Pd, non ne abbia. A Cuperlo però il Pd ha almeno dato, onestamente, da mangiare. E’ questa è già una buona ragione, per restare nel Curpartito.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:50