
Caro direttore,
il collega Manconi ("La Repubblica", 12-07-2013), riproponendo una vecchia tesi sostenuta in Senato nel 1998 in un ddl (AS 211) presentato da Rifondazione comunista, afferma che la pena ha funzione rieducativa e conseguentemente quella dell'ergastolo, non prevedendo una fine, mal si concilia con questa funzione "costituzionale" (art. 27 Cost.). Sostenni in Sernato (applaudito anche dal senatore Bertoni dei Ds, già magistrato, che insieme alla teoria della funzione rieducativa della pena vanno tenute presenti anche le teorie della funzione retributiva e quella preventiva. E dissi che le tre teorie vanno applicate congiuntamente, non in via esclusiva l'una a danno dell'altra, essendo solo... teorie di politica criminale. Con me ha convenuto anche Seneca, come ricordai nel discorso pronunciato al Senato il 29 aprile 1998 (che Ti allego). «Onorevole Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, la discussione di questo disegno di legge proposto da Rifondazione Comunista è stata pretesa ed ottenuta nel momento meno opportuno. Non so capire i motivi di tale pretesa, ma non ritengo di sbagliare se li restringo a due.
Infatti delle due l'una: o i presentatori del disegno di legge, e ovviamente coloro che si sono prestati ad agevolarne l' iter , hanno scarsa sensibilità politica, non avvertendo che di tutto gli italiani hanno bisogno fuorché dell'abolizione dell'ergastolo, oppure proprio perché Rifondazione Comunista si è resa conto che anche colleghi di altri Gruppi potevano essere avviluppati in una falsa battaglia libertaria, ha tentato e sta tentando di ottenere adesioni trasversali, strumentalizzando quanti in quest'Aula e in perfetta buona fede presteranno orecchio ad assiomi giuridici e alle sirene di falsi princípi. Vi è, forse, una terza ipotesi, cioé quella dell'uso propagandistico di un tentativo che, male che vada, lascerà a Rifondazione la bandiera di una battaglia persa ma nobile; nobile quanto meno per i pochi ingenui che ci crederanno. Ma la schiacciante maggioranza degli italiani non saprebbe darsi una ragione se questo tentativo passasse sulle loro teste e contro la loro volontà né comprenderebbe il motivo per il quale la maggioranza dovrebbe pagare un prezzo cosí elevato pur di tenere in piedi un Governo. È infatti evidente che una componente della maggioranza sta forzando il Governo per scopi che a me personalmente sfuggono, ma è certo che, ove riuscisse nell'intento di ottenere il varo di questa legge, il Governo ne uscirebbe indebolito.
Tanto ció è vero, che il Ministro della giustizia si è affrettato a creare un po' di confusione dichiarandosi contro l'abolizione dell'ergastolo, all'indomani del sondaggio CENSIS su criminalità e giustizia nel quale si dà atto che l'80 per cento degli italiani è contro l'abolizione. Diciamo allora che il Governo ha avuto coraggio; mi auguro che non sia solo il coraggio del sondaggio, ma anche il frutto dell'intima convinzione di rispettare la volontà dei cittadini, già dimostrata con un referendum. Si è detto da parte del relatore - che peraltro nella XII legislatura ha firmato analogo disegno di legge, lasciando in questa legislatura l'iniziativa a Rifondazione - che erano trascorsi ormai quindici anni dal referendum e tale tempo gli appariva congruo per ipotizzare - soltanto per ipotizzare - che gli italiani avessero ormai mutato radicalmente opinione e fossero ora pronti a subire l'abolizione dell'ergastolo. Per chi scambia i propri desideri con la realtà la giusta punizione è il recente sondaggio, che sotterra tali desideri e gli ipotizzati scenari di una realtà virtuale, rilevando che per l'80 per cento dei cittadini la pena dell'ergastolo deve essere tenuta ferma. Onorevoli colleghi, i sondaggi possono anche sbagliare, ma la percentuale dell'80 per cento è difficilmente contestabile o interpretabile, tanto essa è chiara e schiacciante.
Tuttavia, i presentatori del disegno di legge hanno errato, non soltanto nel confondere tra desideri (o ideologie) e realtà, ma anche nel non accorgersi che in questi anni la tendenza dei cittadini è andata verso un sempre maggior inasprimento delle pene. E d'altronde è tendenza naturale difficile da contrastare. Infatti, solo ad una parte di questa Camera, che spero minoritaria, sfugge che piú il colpevole scansa la pena, piú la reazione dei cittadini si fa intensa e rabbiosa. Non staró qui ad analizzare compiutamente il fenomeno. Mi è sufficiente rilevare che il cittadino sa che per l'80 per cento dei reati in media gli autori rimangono sconosciuti e quindi impuniti, che la prescrizione dei reati cancella la pena per la residua percentuale, che la pena, per quei pochi colpevoli che fortunosamente lo Stato individua e condanna, non è mai effettiva o scontata interamente. Questo quadro sconcertante viene visto dal cittadini quale ingiusto e ingiustificato lassismo giudiziario. Essi, i cittadini, sin dai primordi dell'era civile si sono spogliati del potere di farsi giustizia da soli e hanno quindi delegato lo Stato ad amministrarla. è facile profezia prevedere che di qui a qualche anno, ove quantomeno non si torni al Beccaria, che auspicava una pena mite, è vero, ma certa e immediata, ove non si inverta immediatamente questa tendenza al lassismo e alla confusione, i cittadini non solo ci chiederanno di togliere allo Stato questa antica delega di civiltà per difendersi da soli e da soli farsi giustizia, o al limite delegare alla mafia la giustizia in quel territorio, ma ci chiederanno pene sempre piú aspre fino a pretendere il ripristino della pena di morte.
La cosiddetta battaglia di principio sulla pena dell'ergastolo è stata motivata dai presentatori, e da quanti vi hanno aderito per convinzione o perché costretti da ragioni di partito e da vincoli di maggioranza e di Governo, con una presunta maggioritaria tendenza della dottrina in merito alla funzione della pena. Non posso, soprattutto per ragioni di tempo, illustrare compiutamente tutte le posizioni della dottrina sulla funzione della pena, ma devo riassumerle, onde offrire a quanti in quest'Aula non sono cultori di diritto quantomeno la possibilità di non appiattirsi su ordini di partito, ma serenamente valutare che in materia non vi è nulla di scontato. Le principali teorie sulle funzioni della pena sono tre: l'una dà alla pena una funzione retributiva, vale a dire la pena ha carattere puramente afflittivo, proporzionale all'afflizione che il delitto ha causato alla vittima; altra teoria è quella della prevenzione o della intimidazione, che ha anche la finalità di garantire l'ordinato fluire dei rapporti sociali a mezzo della segregazione del reo dalla società; infine, vi è la teoria emendativa o rieducativa, che molti dicono sia stata quella che ha suggerito l'articolo 27 dell'attuale Costituzione. Tutte e tre le teorie che ho appena elencato hanno nobili giustificazioni, ma possono avere gravi risvolti negativi ove siano accettate e applicate in via esclusiva, l'una a danno delle altre, perché in fin dei conti si tratta solo di teorie, di prodotti della dottrina giuridica.
Qui, invece, in questa sede non dobbiamo sposare ideologicamente l'una o l'altra teoria, ma filtrarle insieme, onde farne il miglior uso per risolvere il caso nel concreto, in relazione alla nostra epoca, al nostro attuale sviluppo, ai nostri rapporti sociali, perché quella che stiamo trattando è politica criminale e come tale puó mutare. Ecco perché non è corretto, o quanto meno è imprudente e superficiale, trarre a pretesto una teoria per dare un alibi a questa iniziativa legislativa, i cui presentatori in sostanza affermano che poiché la funzione della pena è quella dell'emenda, della rieducazione del reo, ne consegue che l'ergastolo, non prevedendo una fine della pena, è inconciliabile con lo scopo. Questo alibi è facilmente smontabile e a ció hanno provveduto gli stessi sostenitori dell'abolizione quando, non convinti della bontà della teoria, la neutralizzano affermando che in realtà l'ergastolo è di fatto abolito attraverso l'applicazione costante degli strumenti della liberazione condizionata dopo 26 anni, della semilibertà dopo 20 anni, dei permessi premio dopo 10 anni, dei tre mesi di sconto per ogni anno di pena.
Essi aggiungono che non essendo questione di fatto rimane una questione di principio che ha una sua dignità, perché - essi dicono - vale la pena battersi affinché una teoria abbia la sua totale e piena applicazione. Allora, se è solo questione di principio (ma non è cosí, come tenteró di dimostrare in seguito), è sul principio, cioé sulla teoria emendativa, che vale la pena spendere qualche parola. Innanzi tutto va osservato che questa teoria è figlia dell'utopia, che già tanti danni ha provocato non solo in Italia. Mi correggo: la teoria non è figlia solo dell'utopia, ma anche dell'ipocrisia. Credo che sia ipocrita, infatti, invocare prima la sacralità del principio e poi preoccuparsi della sua applicazione pratica. Intendo chiedere, a quanti sanno o conoscono delle nostre carceri: qual è il grado di ipocrisia cui si deve giungere per credere che nelle nostre carceri ci si possa rieducare? Non ci vuole un grosso bagaglio di esperienze per sapere che il delinquente nel carcere italiano affina le sue qualità negative e quando ne esce è in effetti rieducato, ma al peggio; ne esce infatti abbrutito, incattivito e astioso verso il consorzio sociale che lo ha temporaneamente espulso e verso il quale ha solo sentimenti di vendetta.
Nulla nelle nostre carceri aiuta alla rieducazione né le loro strutture, che il piú delle volte sono medioevali, sia come epoca sia come spazi (gli esempi di 7 detenuti per una cella di 15 metri quadri sono frequenti) né la metodica per una effettiva rieducazione. è quindi ipocrita preoccuparsi prima del principio e poi degli effetti della sua applicazione. Avrei apprezzato di piú che tutto il Parlamento si fosse battuto, ove realmente avesse creduto alla teoria emendativa, per fare ottenere al Ministero dei lavori pubblici e al Ministero della giustizia un congruo finanziamento onde costruire carceri moderne, progettate e adeguate al fine di una effettiva rieducazione del reo, nonché per assumere personale specializzato e acquistare attrezzature idonee alla rieducazione. Ma a questo fine la maggioranza non ha speso molti sforzi in sede di finanziaria, tanto che oggi il Ministero della giustizia ha raschiato il fondo del barile e se non sa come sopravvivere per le spese correnti, possiamo figurarci se abbia risorse per porre mano al grande progetto di attuare finalmente la Costituzione, che al terzo comma dell'articolo 27 prescrive che "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità...".
Lo ricordo a quanti dell'articolo 27, terzo comma, richiamano solo la seconda parte, in cui si afferma che le pene "devono tendere alla rieducazione del condannato". Credo sia piú corretto evocare tutto l'articolo e non solo la parte che sembra far piú comodo. Ho detto "sembra" perché anche questa parte della norma costituzionale, richiamata per giustificare la non costituzionalità dell'ergastolo, è passata al vaglio della Corte che invece non ha trovato inconciliabile quella pena con la Costituzione. Per tornare alla teoria della rieducazione, che per alcuni sembra dover far aggio su quella retributiva e intimidativa, vorrei concludere aggiungendo sinteticamente due osservazioni. La prima è rivolta a quanti sposano una teoria per motivi ideologici o fideistici o per oscuri motivi psicologici o di pura suggestione. Nel caso che ci occupa mi rivolgo anche a quanti non disdegnano l'etichetta di libertari, perché strenui difensori dei diritti civili, sempre pronti a scattare contro ogni forma di indebita compressione della dignità della persona. E qui mi perdonerete un inciso che surrettiziamente introduce un mio sfogo. Avrete notato che ho parlato di dignità della persona senza aggiungere alcun aggettivo: oggi è di moda, anche da parte di eminenti letterati, aggiungere l'aggetivo "umano".
Io dico che, se proprio non si vuol rispettare l'etimologia, bisognerebbe almeno chiedersi se questo aggettivo serva a distinguere la persona umana da quella animale. Mi scuso per l'inciso e torno alla questione della dignità della persona. Se si vuole accettare acriticamente la teoria emendativa, sposarla fino in fondo ed estremizzarla, male interpretando la prudenza dei nostri primi costituenti, si abbia quanto meno il dubbio che la rieducazione, cosí come utilizzata in quest'Aula, potrebbe rievocare l'alta e nobile funzione dei gulag e dei campi delle Guardie rosse di Pol Pot: anch'essi infatti tendevano alla rieducazione, ma è noto che molti rieducabili da quei regimi avevano il desiderio di scontare la pura detenzione per espiare la colpa (vera o presunta), ma non certo di essere rieducati a rientrare nelle regole di quel consorzio sociale che li aveva espulsi e segregati. I libertari di tutte le tendenze meditino pertanto sulla loro ingenua buona fede e, soprattutto, manifestino chiaramente in quest'Aula la loro volontà, perché, quando fra qualche anno il lassismo avrà provocato un parossistico incremento della delinquenza, non vengano poi a gemere e a lagnarsi se i cittadini, sull'onda di una conclamata emergenza, chiederanno vent'anni di galera per il furto e la pena di morte per la rapina a mano armata.
Non potranno lagnarsi perché saranno considerati loro colpevoli e affetti da cronica querulomania, sia pure a senso unico. Nessuno di essi, libertari o falsi garantisti che tanto si agitano per i terroristi o gli assassini ideologici, nessuno di essi - strana contraddittorietà - sa gemere con lo stesso tono per il cittadino che si difende dall'azione violenta del delinquente. Questi falsi garantisti, e con loro i pubblici ministeri di identica cultura, dimenticano che quel cittadino ha non solo il diritto ma il dovere di difendersi e difendere anche altri cittadini. Eppure quel cittadino oggi è rimasto solo; egli è ed è destinato ad essere vittima, obbligatoriamente vittima, perché gli è impedito di difendersi, mentre il delinquente è pregiudizialmente, ideologicamente se non innocente, quanto meno irresponsabile, in quanto costretto a delinquere dalla società. Insomma è un soggetto debole da proteggere e coccolare come, se continuerà questo andazzo dottrinario e ideologico, sentiremo affermare in una mozione del prossimo congresso di Magistratura Democratica. L'altra necessariamente sintetica osservazione sulla teoria rieducativa si sostanzia nel chiedervi se non troviate strano che dall'area di sinistra-centro, dalla quale si invoca l'eliminazione dell'ergastolo, provengono altresí grosse acquiescenze e complici silenzi in merito al fenomeno sempre piú esteso della carcerazione preventiva, sistema questo di anticipazione della pena - pena ingiusta, perché la maggior parte dei reclusi viene poi assolta, come è noto - applicato per lo piú da quei pubblici ministeri che gravitano nella stessa area e cultura politica degli abolizionisti. Ebbene, a parte la strana coincidenza, a me sembra assurdo che si invochi ad alibi la teoria assoluta della rieducazione e poi non ci si chieda se essa non debba miseramente crollare in presenza della carcerazione preventiva.
Se la pena, la reclusione, ha il fine di rieducare, delle due l'una: o la reclusione preventiva va abolita o la teoria va eliminata. Un'ultima domanda per ingenerare altri dubbi in quanti non sono vincolati ad ideologia, ma aperti alla critica: puó fondatamente ritenersi applicabile la teoria rieducativa ad incalliti capimafia? Coloro che risponderanno affermativamente evidentemente poco sanno della mafia e di quella radicale cultura. Chi sin da giovanissimo ha vissuto in quell'ambiente, chi ne ha scalato tutti i gradini arrivando ai vertici esclusivamente in forza di crimini sempre piú efferati, chi della mafia ha fatto una religione, si è imbevuto dei suoi riti e ne ha impartito i sacramenti, chi dalla mafia ha tratto fortuna, prestigio e potere, ebbene, non solo non è rieducabile, ma in carcere trova l'ambiente ideale per rafforzarsi nella propria cultura deviata e lí, nel carcere, trova nuova adepti, diffonde il virus , amministra giustizia e impartisce ordini. Tiene nel frattempo nel carcere una condotta irreprensibile - anche perché non avrebbe motivo di protestare o di ribellarsi in quanto trae dal carcere motivi di soddisfazione per il suo ruolo - e dopo pochi anni ne esce, in permesso di semilibertà, piú forte e piú potente di prima, in forza dei nuovi reclutamenti e delle nuove alleanze che ha saputo creare; insomma, se entra colonnello ne esce imperatore.
Si puó infine escludere con assoluta serenità che possano esistere casi di detenuti non rieducabili, contrari essi stessi a subire qualsiasi condizionamento, ribelli a qualsiasi regola o in particolare alle regole imposte loro dal consorzio che li vuole rieducare? Per un attimo si pensi al caso della Baraldini, che non pare voglia farsi rieducare seguendo i metodi e le regole imposte dagli Stati Uniti; oppure, si pensi a qualche membro di tribú amazzonica incappato nel carcere italiano e sottoposto alla "nostra" rieducazione. Per tornare all'abolizione dell'ergastolo, è chiaro che esso è un lusso, uno sfizio ideologico che si vuole togliere chi oggi sa di attuare un colpo di mano, approfittando del favorevole momento nel quale ritiene di poter condizionare tutta la maggioranza di Governo, maggioranza che come è noto non rappresenta la maggioranza degli italiani. Se qualcuno vuole togliersi questo sfizio, questo antico desiderio represso per tanti anni, di creare caos e anarchia, divisioni e conflitti, si accomodi pure, se ha i numeri! E allora, mi rivolgo a quanti possono sottrarre qualche voto all'approvazione di questo disegno di legge per dire loro di fare appello non ai precordi, ma al buon senso, al pragmatismo, al senso di responsabilità di legislatori seri, attenti e sensibili. Per dirvi, onorevoli colleghi, che se da una parte si richiamano dottrine assiomatiche o falsi principi, dall'altra non è solo la "bieca reazione" che vuole contrastare questo deprecabile tentativo, ma anche eminenti personalità.
Non ultima, l'ex presidente della Corte costituzionale professor Conso che, in occasione del barbaro stupro e assassinio di due povere ragazze da parte di un pastore greco sul monte Morrone, a chi invoca la pena di morte ebbe ad affermare che in quel caso era l'ergastolo che andava comminato perché pena piú afflittiva, piú retributiva, piú angosciante rispetto alla pena di morte. D'altronde vi è ancora qualcuno che sa distinguere tra reato e reato e nel tentativo di calibrare le pene non esita a chiedere l'ergastolo per chi sequestra persone a scopo di estorsione. È di pochissimi mesi orsono la presentazione di una proposta di legge (la n. 4282) alla Camera da parte dei deputati popolari Soro, Carotti e Borrometi. Se non erro, l'onorevole Carotti è l'attuale responsabile della giustizia per il partito popolare; me ne compiaccio, cosí come mi auguro che i senatori dello stesso partito vogliano trarre da questa iniziativa parlamentare spunti di riflessione. È infatti necessario riflettere sulle conseguenze che deriveranno dall'abolizione dell'ergastolo, cosí come propostaci nel testo della Commissione. Ci si chieda dopo quanti anni potrà uscire dal carcere il capo mafioso condannato a piú ergastoli. E ci si chieda se l'autore di una o piú stragi meriti piú la qualifica di ergastolano o quella cosí gesuitica di recluso speciale.
Ci si chieda infine quale pena dovrebbe scontare il già ergastolano - ora recluso speciale - nel caso riesca ad evadere e nei dieci anni di latitanza, commetta omicidi, o nello stesso carcere ammazzi dieci guardie carcerarie. A questi interrogativi non io devo rispondere, ma chi vuole abolire l'ergastolo. Mi avvio alla conclusione con due citazioni. L'una di San Tommaso, che dice "Se un uomo è pericoloso per la comunità, e per qualche peccato è causa della sua rovina, lodevolmente e giustamente lo si uccide, affinché sia conservato il bene comune". Io non chiedo che dobbiate seguire questo "barbaro" insegnamento cosí lontano dalla vostra illuministica cultura (che, peraltro, ha portato Robespierre prima a dichiararsi contro la pena di morte e poi a farsi carnefice) ma a riflettere su quanto Seneca ci ha tramandato: "Nel punire i delitti" - egli dice - "tre vie la legge segue: o emendare chi si punisce, o indirizzare la pena a rendere migliore gli altri o, estirpando i malfattori dal corpo sociale, assicurare la tranquilla convivenza degli altri". Come vedete, pur essendo trascorsi duemila anni, la politica criminale non è cambiata: non vi si chiede di scegliere una via in luogo delle altre due; vi si chiede di consentire che la pena mantenga i suoi tre scopi: prevenire, rieducare, retribuire.
Il nostro Gruppo, dichiarandosi contro l'abolizione dell'ergastolo, ha un triplice obiettivo: evitare che la pena sia mutilata nei suoi plurimi scopi; ricordare che le vittime dei crimini non sono ectoplasmi e che sono molti di piú gli Abele dei Caino (accenno anche io a quanto ha già ricordato il senatore Cirami: è di pochi giorni fa la costituzione di un'associazione, che non vuole opporsi all'altra, forse piú famosa perché costituita in precedenza "Nessuno tocchi Caino", dal nome "Qualcuno pensi ad Abele", che è la giusta reazione a quello che prima ho dichiarato essere un lassismo giudiziario molto pericoloso); conservare il patto che il cittadino ha stretto con lo Stato a cui ha delegato il diritto di punire, ad evitare che quel deluso cittadino (rotto il patto da parte dello Stato) si trasformi nel giustiziere della notte o, nel peggiore dei casi, in un ribelle organizzato e cioé rivoluzionario, ricordando che in quella che molti chiamano la civilissima America, a New York nel 1976 fu abolita la pena di morte ma nel 1995 fu ripristinata a furor di popolo. Questo ricordiamo a quanti, dileggiando la volontà popolare, nel contempo si lamentano del sempre maggiore distacco tra paese reale e paese legale, rammentando altresí che, ove questo disegno sia approvato, autorizzerete quanti non sono d'accordo ad una pronta verifica: e cioé a proporre subito un referendum ! E il nostro Gruppo sarà tra i promotori! Sappiamo sin d'ora che in questo caso l' intellighenzia si muoverà in blocco e i mass media faranno muro, ma varrà la pena di confrontarsi: noi non correremo alcun rischio, il rischio, come un cerino acceso, rimarrà a carico solo di chi oggi, in questa Aula, crede di aver già vinto una battaglia. Sappiamo di avere con noi la maggioranza degli italiani e per essi ci batteremo, al solo fine di rispettare il mandato che ci hanno conferito». (Applausi dai gruppi Alleanza Nazionale e per l'UDR (CDU-CDR-Nuova Italia) e del senatore Bertoni. Congratulazioni.
(*) Ettore Bucciero è un ex senatore di Alleanza Nazionale e del Pdl
Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:05