
L’Italia conta all’incirca duecentoventimila avvocati. 220.000! Molti? Pochi? La Francia, con più o meno gli stessi abitanti, ne ha quarantasettemila. 47.000! Quattro volte e mezza di meno. Dunque gli avvocati sono tanti perché abbiamo tanti litiganti, ricorrenti, imputati, oppure abbiamo troppe cause perché abbiamo troppi avvocati? La stessa categoria degli avvocati ha coniato il maccheronico "dum pendet, rendet". Tenere in piedi i processi dà pur sempre da mangiare. Ma è anche vero che la domanda di giustizia è così grande che l’offerta di avvocati tende a soddisfarla. I motivi del fenomeno sono almeno due. Il primo è che ogni controversia legale deve andare davanti a un magistrato. Il secondo è che tutto ciò che va davanti al magistrato esige l’avvocato.
Esiste anche un terzo, ovvio, motivo ed è la litigiosità, che dipende tanto dal carattere degl’Italiani quanto dalla farraginosità e dalla pletora delle leggi. Migliorare, semplificare, ridurre i procedimenti giudiziari costituisce un’impresa, perché le commissioni parlamentari sono composte, a preferenza, da avvocati e magistrati. È ottimistico aspettarsi che riformino la giustizia a loro danno. Centinaia di migliaia di cause si risolverebbero in una o due udienze se il giudice andasse sul posto ed ascoltasse direttamente le parti. Invece il magistrato, che è privo di auto di servizio, se ne sta rintanato in tribunale a leggere montagne di memorie, documenti, verbali, perché il processo, in barba alla sbandierata oralità, deve essere tutto nero su bianco. Il giudice, "peritus peritorum", vede con gli occhi dei consulenti legali, tecnici e no, che gli riferiscono con pile di carte. Un andazzo, questo, che procura il pane e il companatico a tanta gente, ma a discapito della giustizia.
Potrebbe essere eliminato con qualche semplice leggina e con poche direttive degli uffici giudiziari. Perché non si fa, essendo una riforma semplice ed efficace? Per quel fenomeno che Milton Friedman, premio Nobel, analizzò in un libro il cui titolo, “La tirannia dello status quo”, dice tutto. Essa è forte e difficile da spezzare perché protetta da ciò che è stato chiamato il triangolo di ferro: «A un vertice vi sono i diretti beneficiari di una legge; a un secondo vertice, le commissioni legislative e i loro componenti; al terzo, la burocrazia che amministra una legge. Queste tre potenti tirannie determinano lo status quo» (Milton & Rose Friedman, "La tirannia dello status quo", Milano, 1984, pag.44).
Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 10:53