
Partiamo rammentando quanto sancito dalla Costituzione (ancora vigente!) della nostra Repubblica. Al quarto comma dell’articolo 13 si legge che “è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”. Recita invece il terzo comma dell’articolo 27: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Scrivevo nel febbraio del 2011 che, davanti a condizioni di salute drammatiche di un detenuto, non si debba tener conto né del suo cognome, né del suo curriculum criminale.
Lo Stato civile, in altri termini, non deve sostituirsi al boia (lo stesso articolo 27 sancisce, del resto, la non ammissibilità della pena capitale) facendo letteralmente morire un detenuto nelle patrie galere sottoponendolo, per di più, a un regime carcerario eccezionale, denominato 41 bis. Invece, dal 2006, Bernardo Provenzano sta lentamente morendo isolato in carcere, a 80 anni, con una serie di patologie devastanti. Il suo legale, l’avvocato Rosalba Di Gregorio, ce le recita tutte ed è una drammatica sequela: encefalopatia vascolare cerebrale e Parkinson, recidiva di tumore retro vescicale (non trattata con alcuna terapia), sospetta metastasi alla coscia (è stata esclusa che la formazione visibile sia pus o sangue), residuo igroma alla testa dovuto all’intervento di svuotamento dell’ematoma subdurale (frontale, temporale e occipitale) provocato da una caduta, deficit cognitivo totale (proprio per incapacità la posizione di Provenzano è stata stralciata dal processo per la cosiddetta trattativa Stato-mafia) e ipertensione arteriosa. “Inoltre il detenuto Provenzano – ricorda ancora l’avvocato Di Gregorio – dopo l’intervento chirurgico al cervello, non può camminare né stare seduto. Sta a letto e devono girarlo. È costretto ad indossare un pannolone per doppia incontinenza e attualmente è ricoverato a Parma per un’infezione la cui causa non si é ancora scoperta .
Hanno solo trovato un antibiotico che controlla la febbre alta. Non si nutre da solo e non inghiotte altro che sostanze liquide”. In quel febbraio del 2011 apprendemmo che, in modo “bipartisan”, il mondo politico commentò in modo inquietante la presunta incompatibilità del carcere duro con le complicate condizioni di salute del detenuto Provenzano: non se ne parla neppure, se proprio soffre dietro le sbarre Provenzano si penta, collabori e beneficerà di quanto già la legge prevede. Quasi a subordinare le cure alle quali ogni (si sottolinea, “ogni”) detenuto ha diritto a un pentimento, a una collaborazione da parte dello stesso. Una vergogna e nulla più perché ogni recluso deve essere curato e rispettato: anche se il detenuto si chiama Provenzano. L’avvocato Di Gregorio ci va giù pesante: “Ci sono tanti esponenti dell'Antimafia che ad ogni comunicato stampa sulla salute di Provenzano, si indignano al solo pensiero che io formuli istanze e urlano che quello deve morire al 41bis! Può essere che le autorità preposte si preoccupino di non essere attaccate da tali esponenti! Del resto è noto che gli attacchi di chi si etichetta “antimafia” impensieriscono… Io ho giurato, da avvocato – sottolinea il legale – di rispettare la legge e pretendo che la si applichi. Lo Stato, del resto, può solo rispettare la sua Costituzione”. La difesa di Bernardo Provenzano confida in una revoca del regime di 41bis e una sospensione della pena per le gravi condizioni di salute dell’anziano ex capo-mafia. Ma l’avvocato Di Gregorio ha anche una speranza: “Che ognuno di noi faccia il proprio lavoro nel rispetto della legge e non degli umori della folla”. Di certo, in casi simili, il carcere duro non ha alcun senso se non quello di un accanimento incomprensibile da parte di uno Stato che rischia così di dimostrare tutte le proprie carenze e debolezze.
Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:21