La questione liberale  al tempo della crisi

“Né FI né AN ma una nuova classe politica” scrive giustamente il direttore Diaconale (L’Opinione, 2 luglio), parlando del futuro PDL, un contenitore, parrebbe, che dovrà contenere le variegate e variopinte componenti dell’elettorato di centrodestra. Anche se nobilitato alla francese e battezzato “rassemblement”, che però non significa solo “riunione” ma anche “assembramento “ e “ammassamento”, la ‘ri-creazione’ di Forza Italia determina la fine del PDL, comunque qualificato. Tra parentesi, la ‘ri-creazione’ di FI ricorda da vicino la ricostruzione dell’imene con il bisturi del chirurgo plastico: “rivergination”, appunto. Nel 1994 FI fu basata su dichiarati e reali principi liberali. Il fondatore si presentava ed era l’espressione italiana di quegli “animal spirits” che generano impresa, capitale, ricchezza ed occupazione.

E non era sfigurato da vicende che, a prescindere dagli esiti giudiziari, costituiscono un’incontestabile “deminutio capitis” di natura politica. Inoltre egli professava apertamente la religione del ‘partito liberale di massa’. La stessa parola “Libertà” divenne, da negletta che era, parte fondamentale del lessico e del dibattito politico. I comunisti smisero di essere la crema della nazione, “i migliori”, e diventarono quel ch’erano sempre stati: i nemici della libertà dei liberali. Questo imponente ed affascinante castello ideologico e politico si rivelò fatto di carta e parole, perché la proprietà aziendale impose i suoi diritti non meno della difesa giudiziaria che fu spostata e snaturata sulla trincea della difesa parlamentare. Tutto ciò che è accaduto è accaduto. Nessuna rifondazione può cancellarlo. Diaconale, seppure con i modi e lo stile levigati ed eleganti che gli sono propri, sottolinea che “il miracolo” della resurrezione (unico nella storia, ma si trattava di un Dio) non può essere compiuto “dagli stessi personaggi che hanno provocato la delusione”. E si tratta di milioni e milioni di delusi! Adesso, degli uomini liberali di FI che fecero l’impresa del 1994, è rimasto, con qualche altro minore, soltanto Antonio Martino, che allora definì e formulò il programma. Non ci sono più nemmeno i comunisti.

Quei pochi che ancora s’aggirano, ma camuffati, sono orfanelli della grande illusione. Adesso il guerrafondaio Berlusconi veste i panni del pacificatore e sorregge il governo delle disattese. La parola libertà, che talvolta esce dalla bocca dei personaggi evocati da Diaconale, ha preso dei significati che nessun vero liberale può condividere. Esistono leaders dei partiti di centrodestra a petto dei quali gli estremisti del centrosinistra sembrano “liberals”. Quindi sì, ha ragione Diaconale, occorre una nuova classe politica. Ma non basta. Sono indispensabili i liberali autentici, senza complessi e senza paure, nuovi o vecchi non conta, indipendenti, disinteressati, puliti, che obbediscano al primo comandamento della vita pubblica, che mio padre m’impartì il giorno che fui eletto deputato al Parlamento: “Se ci guadagni, stai sbagliando”.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:02