
Concordo, naturalmente, con la nostra comunità dell'Opinione (che si allargherà, eccome...) sulla giusta schematicità della Carta programmatica. Non solo o non tanto perchè dei sei o sette temi centrali questo giornale ha fatto da sempre un elemento essenziale della sua identità liberale, quanto, soprattutto, perché lo stesso elenco di queste issues svelano le storiche manchevolezze di destra e sinistra, chiamate a rispondere dei silenzi colpevoli e delle mancate riforme (il centro destra) e delle complicità attive con lo spirito dei tempi giustizialisti e della incrollabile conservazione dello status quo giudiziario, costituzionale, istituzionale (centro sinistra). Oggi è il tema della giustizia che più risuona con il suo allarme sociale e con le condanne internazionali al Paese.
Non possiamo non dirci radicali, proprio perché liberali, ad ascoltare cifre, dati, episodi, personaggi di quella galleria degli orrori carcerari che sia da Radio radicale" sia dalle mail, sia da Marco Pannella si va svelando da tanto tempo, e che è stata riassunta nella commemorazione di Enzo Tortora assurto a simbolo di una giustizia ingiusta che ha fatto dire, né più né meno, che dalla sua morte, dall'inizio della sua tremenda odissea, dalla stessa vittoria del referendum radicale, nulla è cambiato. Sentire frasi a "Radio Radicale" del tipo: in queste carceri italiani ci sono non meno di 15 mila persone che ne usciranno, chissà quando, perchè trovate innocenti,o come: la giustizia italiana di oggi è peggiore di quella dei tempi di Tortora ,ebbene rappresentano non soltanto uno slogan ma diventano un vera e propria sintesi: di un collasso, di una deriva, di una catastrofe che è politica ed è morale. Il pacchetto presentato dalla volonterosa ed esperta ministra Cancellieri è un segno di buona volontà e, forse,il minore dei mali. Ma già da questa "reductio" lessicale si può facilmente dedurre che occorre fare di più, molto di più per uscire da un trentennio di errori e di orrori con scelte di fondo e con decisioni drastiche. Si diceva una volta che le riforme o sono strutturali o sono pannicelli caldi. Erano i tempi dei dibattiti infuocati dove le parole, scagliate come pietre, si inquadravano in disegni ampi e riformatori.
Correvano gli anni delle passioni politiche che sembravano riempire le nostre esistenze e darci un senso di orientamento, consegnarci una bussola con una meta precisa da raggiungere. Tempi nei quali la stessa parola Giustizia sembrava risplendere nella luce pura del cristallo dai palazzi dov'era amministrata. Certo se ne intravedevano le imperfezioni e pure le (in)giustizie "classiste" e i porti delle nebbie, ma con la tragedia di Tortora nulla è più stato come prima. Non solo per la vicenda in sé, ma per quanto ne derivò e che, per ironia della storia, avrebbe avuto il crisma della volontà popolare tramite un referendum che la stragrande maggioranza del popolo italiano aveva consacrato. Il suo tradimento, il precipitare della condizione della giustizia nel gorgo del circo mediatico giudiziario, le carceri strapiene, lo stesso Papa Polacco che accorre nel Parlamento per invocare l'amnistia, e il recente caso Cucchi e poi e poi e poi... Poi niente.
Si è persa la bussola, ci siamo trovati spaesati, perduti in un clima forcaiolo e intollerante cui ci vorrà ben altro e ben altro tempo per restaurare uno stato di diritto degno degli standard europei. Quando si chiede un'amnistia non è per liberare i criminali e i delinquenti, come sbraitano i leghisti alla canna del gas, ma per dare una risposta vera agli errori accumulati, non per colpa degli "altri" ma della classe dirigente. Non è alla piazza che una classe politica deve rispondere. Quando l'ha fatto, quando per esempio ha ascoltato la orrenda piazza delle monetine al Raphael, si è spogliata dell'immunità parlamentare aprendo la strada al precipizio della politica stessa.a cui non si è ancora sollevata. Adesso abbiamo i sei referendum radicali sulla giustizia. Politica, se ci sei, batti un colpo. Noi ci siamo.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:52