
Alla manifestazione Fiom di sabato 19 sono entrate in polemica due sinistre, quella per esemplificare quella di due emeriti studiosi come Giuseppe Bianchi e Luciano Gallino. Bianchi ha nell’articolo “Il cittadino italiano, un povero ricco” raccontato perché l’Europa è poco sensiibile ai guai italiani. Il Bel Paese ha 2 miliardi di debito pubblico ma è anche proprietario, a livello privato “di 8.600 miliardi netti, 4,3 volte il debito pubblico e 6 volte il PIL, di cui un terzo impiegato in attività finanziarie (soprattutto titoli di Stato) e due terzi in beni immobili (soprattutto la prima, la seconda casa). Bianchi appartiene, con il centro di studi sindacali Isril, d’ispirazione cristiana, come anche il più celebre Giovanni, ex presidente Acli, al mondo dei cattolici che sono andati, nella divisione bipolare del paese, a sinistra. Per cui si tiene a distanza dalla chiara richiesta di abrogazione della tassa sulla casa Imu.
Non insiste nemmeno sulla tesi tremontiana secondo la quale l’Europa, sommando il negativo dei nostri conti pubblici con il positivo di quelli privati, non avrebbe dovuto imporre strette fiscali, austerity e fiscal kompact. Non tanto perché non condivida questi argomenti, ma perché ogni tesi viene pesata a secondo da dove provenga. Evidenziate l’eccessiva tassazione su lavoro e impresa e la relativamente scarsa sulle rendite, Bianchi auspica, come tante volte è stato fatto, la liberazione delle risorse dal cul de sac immobiliare per il loro investimento in attività produttive. L’economia può essere vista come una scienza esatta, riproponibile allo stesso modo in ogni luogo della terra. Così almeno ragionano i grandi istituti finanziari mondiali, tutti d’impronta anglosassone. Chi invece ha lunga esperienza di cose italiche, sa che difficilmente il cittadino si fiderà di approvigionare con le proprie risorse il sistema produttivo. Come insegna la storia delle privatizzazioni degli anni ’90, il grande capitale privato ed il suo management hanno la brutta abitudine di spolpare le risorse produttive pubbliche che vengano loro affidate, senza che dopo rimangano né convenienze per i consumatori né i posti di lavoro precedentemente esistenti.
Si ha un bel citare globalizzazione, competizione e quant’altro, ma oggi in iItalia sono rimaste in piedi, guarda caso, le aziende ancora in parte pubbliche come Eni e Poste. Malgrado i dipendenti relativi non siano diminuiti come vorrebbero gli analisti finanziari le Poste, per esempio sono l’azienda postale più profittevole al mondo. Parallelamente le piccole imprese restano nane per non divenire terreno di caccia di banche, tassazione e regole generali. Gli italiani storicamente si sono rifugiati nella casa, proprio per una sfiducia, ampiamente giustificata, verso i loro capitalisti privati ed i loro banchieri. La partitica da decenni conosce questa situazione e l’ha preservata, con la rassegnata consapevolezza che non si possano modificare le intime inclinazioni degli attori sociali. Negli anni di crisi, inglesi e americani si sono trovati nella necessità di salvare importanti istituti bancari. Li hanno nazionalizzati e poi riprivatizzati, dopo il risanamento che è passato anche attraverso il recupero di risorse dai precedenti amministratori. In Italia il salvataggio o la condanna hanno invece privilegiato la collocazione parapolitica del management.
In ogni caso sempre a scapito del cittadino pagatore fiscale. È evidente che la sfiducia reciproca tra gli attori sociali sia il principale vulnus del sistema economico italiano, che ha per un secolo, sotto i più diversi regimi ricorso a due soluzioni, il debito o la statalizzazione economica. Il quadro di impegni continentali, che ha escluso enttrambe queste vie d’uscita, ha indotto tutti i governi a varie misure di finanza creativa, con condoni e con il rinvio dei pagamenti dovuti. La fine della finanza creativa e la scelta di seguire i consigli europei hanno fatto immediatamente precipitare la situazione italiana. E’ un paradosso che sia cresciuta l’invocazione a maggiori tasse ed ad una più forte lotta all’evasione, proprio negli anni in cui è aumentato su tutti il carico fiscale e si è toccato il record di recupero di quanto sottratto al fisco. Il paradosso è ben illustrato dal caso Equitalia. Ora che l’Italia segna un regresso sul Pil da 7 trimestri consecutivi, è divenuto ufficiale lo stop a a Equitalia. Il tanto contestato riscossore di tributi locali doveva interrompere il suo mandato già nel 2011, ma è stato prorogato 4 volte perché la sua capacità “crudele” si è rivelata molto utile ai bilanci comunali. Si deve all’esplosione di suicidi e tragedie familiar-aziendali, se Equitalia non gestirà più le riscossioni. Ora però ci sono 13 miliardi, iscritti in bilancio dai sindaci, sui quali Equitalia si lava le mani. Gli Enti Locali presenteranno a breve ed a buon diritto il conto.
Senza quei miliardi, non sapranno come andare avanti con scuole, autobus, raccolta rifiuti, ecc. La gran parte di ciò che richiedono Equitalia e Comuni è in realtà una tassazione mascherata. Multe automobilitische, sanzioni per ritardato pagamento, richieste per immobili già ceduti stanno in gran mumero accanto a richieste legittime per mancati contributi ed evasione. Sotto il ginepraio, difficilmente scioglibile, c’è un costo di conduzione degli enti locali insostenibile. In epoca di mezzo federalismo, la presenza economica statale centrale è stata sostituita da una galassia di municipalizzate e di aziende pubbliche locali costose 100 volte di più. pubblica Sotto le bandiere di nuova virtù, si sono aggravati i vecchi vizi. Luciano Gallino, emerito sociologo dell'Associazione Italiana di Sociologi, è rimasto un faro, da tutti ruspettato, di idee comuniste. Correttamente prende di petto il problema della domanda interna, scoppiato con l’aumento della disoccupazione senza chiedersi perché questa nel 2011 sia passata dall’8,6 all’11%. Il professore criticava la situazione allo stesso modo prima e dopo. Per fare un New Deal nostrano, in una recente intervista, chiede l’assunzione diretta da parte di un’agenzia centrale statale di 4 milioni di disoccupati o inoccupati che dovrebbero occuparsi di dissesto idrogeologico, della metà delle scuole non a norma e di una migliore gestione del patrimonio culturale.
Le critiche di Gallino alle banche che hanno avuto €1.100 miliardi tra fine 2011 ed inizio 2012 dalla Bce ed a quest’ultma che non ha i poteri di una Federal Reserve sono simili a quelle degli estremismi liberali. Riguardano una ridiscussione del debito in sede euopea che non può che sfociare nella difesa degli eurobond. Il sociologo torinese è ingrato con le banche che devono comunque sostenere il debito pubblico; lo è anche con gli ultimi governi quando chiede di togliere gli incentivi alle imprese per darli ai lavoratori. Gli incentivi sono stati tolti. La cassa integrazione viene pagata, assieme a tante altre cose usando i versamenti sociali dei lavoratori destinati alle pensioni, tra le inutili proteste sindcali. È vero che lasciare con minori tasse, cui comunque Gallino è contrario, o dare con un reddito minimo garantito, più soldi a lavoratori e poveri ricostituisce la massa di decine di miliardi l’anno di domanda interna necessaria alla sopravvivenza delle imprese. Per queste ultime ci vogliono però centinaia di miliardi di domanda interna, Gallino, pur partecipando dello stesso ampio scheramento di Bianchi, non la pensa poi allo stesso modo. Vorrebbe tanti stipendi pubblici.
Il secondo vorrebbe trovare risorse per investimenti dal patrimonio privato. Si sono resi conto che il modello tradizionale modello produttivo italiano è in difficoltà, se non cambiano le politiche europee. Non si rendono conto però che per partire dalla difesa di milioni di redditi individuali, bisogna ridurre una massa di spesa improduttiva. Pesa troppo il numero eccessivo di Comuni. di enti locali, di enti doppione come i parchi, di università, di diritti acquisiti altolocati, di mercati captive, di privilegi per cooperative e terzo settore, anche di strutture sanitarie e sociali. Senza finanza creativa, senza nuovo debito, per ridare respiro alla società italiana, è la classe dirigente diffusa, pubblica e privata che deve costare meno: Questa però è cosa difficile da mandare giù per la sinistra comunista come per quella cattolica. La soluzione lib lab dei socialiberali stenta a farsi strada, anche quando la macchina rischia di andare a sbattere.
Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:12