
Con il suo solenne discorso pronunciato in occasione del suo giuramento, dopo la rielezione alla Presidenza della Repubblica, voluta da tutte le forze politiche, Giorgio Napolitano ha esortato i partiti a mettere da parte ed ad accantonare le ragioni del conflitto, anteponendo il bene comune all’interesse del proprio schieramento politico. Sulla base di questa indicazione istituzionale, che rivela il ruolo super parte che il presidente Napolitano sta esercitando in obbedienza al dettato costituzionale, è nato e si è formato, dopo un lungo periodo di stallo e di paralisi, un governo sostenuto da una ampia coalizione. I maggiori commentatori e politologi italiani si sono esercitati in dispute di carattere puramente accademico per darne una definizione politica, tale da chiarirne la natura ed i suoi caratteri specifici.
Si è parlato, a questo proposito, di governo delle larghe intese, di governo di scopo, delimitandone in questo modo la durata temporale, di governo che nasce in presenza di una emergenza sociale ed economica, dovuta alla perdurante crisi internazionale. In realtà, come ha detto in modo netto e perentorio il presidente Letta, allievo di un grande intellettuale come Beniamino Andreatta, nel suo discorso alle Camere, pronunciato prima di ottenere la fiducia parlamentare, il suo esecutivo nasce per assicurare e rendere un servizio in favore del bene comune. La novità sostanziale di questo governo, che è politico per la presenza al suo interno di esponenti dei maggiori partiti, è la collaborazione tra il centro sinistra ed il centro destra, dopo un lungo periodo storico durato venti anni, segnato dal conflitto duro e aspro tra le due fazioni, i berlusconiani e gli anti berlusconiani, che ha fortemente influenzato il bipolarismo italiano. Come ha notato lucidamente Michele Salvati sul Corriere della Sera di sabato scorso, le forze politiche hanno il dovere di parlare il linguaggio responsabile della verità. Nel nostro tempo non è possibile né immaginabile pensare di mantenere i livelli di benessere del passato ricorrendo, come è avvenuto per un lungo periodo storico, alla svalutazione monetaria, al tempo della lira, oppure all’indebitamento.
Il nostro sistema produttivo deve recuperare la sua capacità di competere sui mercati, sicchè è fondamentale perseguire politiche favorevoli alla innovazione e alla ricerca, sicchè vi sia una maggiore efficienza e produttività. Anche la tanto attesa e giusta attenuazione della politica di austerità a livello europeo non potrà del tutto risolvere i problemi del nostro paese, che ha perduto la capacità di competere per il ritardo con cui sono state approvate le riforme strutturali. Da questo punto di vista, è giusta e merita una attenta considerazione la proposta avanzata, in una intervista rilasciata al Corriere della Sera dall’ex ministro Corrado Passera, di introdurre un credito di imposta in favore delle imprese che siano in grado di realizzare la innovazione tecnologica e produttiva. La stessa decisione di Mario Draghi, presidente della B.C.E., di ridurre di mezzo punto il tasso di interesse principale facendolo scendere allo 0,50, di garantire prestiti trimestrali illimitati alle Banche Europee, e di tenere in negativo il tasso di interesse per le banche che depositano i capitali presso la BCE., corrisponde alla necessità di immettere liquidità nel sistema economico, in modo da fornire il credito alle imprese ed agli imprenditori.
Ovviamente, visto che la crisi economica ha prodotto disagio e rischia di fare precipitare parte del ceto medio nella voragine dolorosa della povertà, il governo Letta dovrà approvare misure che diano al Welfar del nostro paese maggiore efficienza e la capacità di assicurare la tutela sociale dei meno abbienti. Proprio perché pare che tra le forze politiche, per il modo in cui è nato e si è formato il governo Letta, stia prevalendo la responsabilità e la volontà politica di rendere un servizio in favore del bene comune, alcuni osservatori hanno evocato la necessità della pacificazione. A questo proposito è evidente che, vista la necessità storica di approvare le riforme istituzionali, non è più tollerabile la delegittimazione dell’avversario politico, con argomenti di carattere giustizialisti, come quelli adoperati in passato contro il presidente Berlusconi, oppure ideologici, come quelli abitualmente addotti per screditare la storia dei postcomunisti. Poiché vi è la crisi di rappresentanza in Italia, fatto innegabile che spiega il successo dei movimenti populisti come quello di Grillo, è necessario che i partiti siano in grado di riformarsi profondamente. In Italia per ragioni di carattere storico non abbiamo mai avuto una destra autenticamente liberale ed Europea né una sinistra socialdemocratica e riformista. I partiti politici italiani, per sanare la frattura che separa il paese legale dal paese reale, devono rifondarsi.
Si discute quale debba essere il luogo e la sede istituzionale in cui il confronto sulla delicata questione delle riforme istituzionali debba svilupparsi tra le maggiori forze politiche. Per alcuni è necessario che si dia luogo alla costituzione di una Convenzione, nella quale disegnare un percorso riformatore per ridurre il numero dei parlamentari, rivedere il sistema di finanziamento della politica, superare il bicameralismo perfetto, e discutere per individuare una nuova legge elettorale che contemperi l’esigenza della rappresentanza con quella della governabilità. Secondo altri autorevole commentatori, invece, non è necessario formare una apposita commissione, poiché, in base all’articolo 138, è possibile approvare le riforme utilizzando le commissioni parlamentari e seguendo la procedura prescritta dalla carta costituzionale. In ogni caso, come ha notato, in una bella intervista rilasciata al Corriere della Serra il Professore e Senatore Gaetano Quagliariello, la discussione ed il confronto sulle riforme istituzionali dovrà prendere le mosse dalle conclusioni a cui erano pervenuti i saggi, nominati da Napolitano prima della sua rielezione. In un momento così difficile e drammatico della storia italiana ed europea, non è possibile attardarsi in sterili analisi per stabilire quanto tempo durerà il governo Letta, poiché sia l’esecutivo sia le forze politiche hanno la responsabilità di agire per il bene comune, approvando sia le riforme strutturali sia quelle istituzionali.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:44