La trave Telecom e la pagliuzza cinese

TelecomItalia è in crisi. Certo, lo si dice da sempre. L’8 maggio però Bernabè e co., Zingales incluso, dovranno affrontare i peggiori risultati economici da sempre. Certo, la crisi ci mette del suo ma la sussidiaria del Brasile, che salvava la situazione, dopo che è stato esautorato l’indagato ex Ad Luciani, è andata in bambola. Telecom ha appena avviato un programma di chiusura sedi, di riduzione stipendi per solidarietà ma non basta: le ultime idee lanciate sul mercato non hanno avuto successo, i servizi non sono più migliori di quelli dei competitor, i prezzi sono restati i più alti. La lunga politica antemontista di riduzione dei costi, di abbassamento delle condizioni dei lavoratori, soprattutto dei livelli più bassi, di vendita degli asset del Gruppo, di aiuto dall’erario statatale non è servita. Il debito sta sempre lì a 28 miliardi ma per le Borse mondiali, inclusi gli investimenti necessari, è anche più alto, giungendo a 40.

Il magnate di Hong Kong Li Ka-Shing che controlla H3G e quindi il quarto operatore mobile 3Italia ha prospettato la fusione con Telecom per dare vita ad una società da 18 miliardi. Ammesso che la società di Bernabè sia valorizzata per 15 miliardi, bisognerebbe sottrarre il valore della rete fissa, da scorporare per evitare che diventi cinese. La backbone nazionale, un tempo valutata a 15 miliardi, potrebbe essere scambiata per 8-10. I cinesi porterebbero in dote soldi ed azienda per 3,3 miliardi, un importo globale tale da ripagare le azioni dei controllanti soci Telco all’ultima svalutazione fatta a loro stessi, 1,2 per azione. Il doppio del valore di mercato che comporterebbe comunque 2,2 miliardi di perdita rispetto all’esborso fatto nel 2009 dai soci Telco. Questi ultimi, soprattutto la spagnola Telefonica non ce la fanno più e quindi non vedono l’ora. L’operazione è però soggetta a numerose variabili, a partire dallo scorporo che farebbe di Open Access una nuova società con ca. 20mila dipendenti. Una Telecom, senza rete, senza Telco con H3G, sarebbe la vecchia Tim, senza lo smalto dei tempi migliori, con gli occhiuti partner Ericsson sulla rete. Varrebbe meno di 10 miliardi, le resterebbero 18 miliardi di debito ed un surplus di 30mila (+ i 5mila 3 Italia) dipendenti.

A guidarla ci sarebbe il management Hutchinson Samoa, finora proprietari di un’azienda da 1,5 miliardi, con tanto di rete esternalizzata Ericsson. Sicuramente per rientrare, i nuovi proprietari punterebbero a mettere la rete mobile Tim a fattor comune con gli svedesi per poi cederla loro del tutto. Per par suo, il nuovo governo Letta, Bassanini e Gamberale dovrebbero spendere 2 miliardi, caricarsene 10 di debito per acquisire il 30% di una newco sussidaria pubblica e la rete fissa da 8-10 miliardi. L’operazione ha alcune caratteristiche evidenti. Omaggia la neutralità della rete poichè tutte le telco sarebbero estranee alla backbone nazionale. Peccato che in Francia, Germania, Norvegia, Olanda non sia così e l’incumbent nazionale resti in un modo o nell’altro statale. In secondo luogo, la newco Open Access-Cassa Deposito e Prestiti darebbe tranquillità, come è stato per Sogei e Consip, ai suoi dipendenti, tornati pubblici.

Nella nuova Telecom-Tim verrebbero invece ridotti drasticamente nel tempo i 35mila posti di lavoro ad un terzo. Le convergenze telefoniche, informatiche, televisive e satellitari d’impronta nazionale morirebbero per sempre, assieme al minimo di autorevolezza del comparto Ict italiano in Europa. Sicuramente il nuovo managememt Hutchison Whampoa ridarebbe smalto e fatturati alla vecchia Tim, al prezzo però della sistematica vendita delle società rimaste, di licenziamenti, di scorpori di ramo d’impresa, a partire del caring, dell’informatica della Tit e del call center Telecontact e di esternalizzazioni tecnologiche strutturali. Amara i meno, l’operazione comunque appare inevitabile dati i numeri negativi Telecom. Costituisce un altro tassello dell’incapacità del vertice italiano di gestire uno dei mercati Ict più ricchi del mondo, su cui si sono ben sistemati finora inglesi e russi e sui i cinesi si apprestano a consolidarsi al massimo livello.

In un mondo normale, la prima cosa sarebbe esautorare il management che ha portato Telecom fin qui. Yahoo, Nokia, Apple, Compaq, Microsoft, Rim nin genere non hanno dubbi. Davanti ai cattivi risultati cambiano Ad e management tra gli applausi dei sindacati. Solo in Italia si fischiano i manager che fanno risultati e si applaudono quelli che amano il green ma sotterranno le aziende. L’abitudine italica si è incrostata nell’idea che se le cose vanno male, interverrà lo Stato a salvare tutto. I tempi sono cambiati ma le croste hanno chiuso i cervelli. Verso il vertice che l’8 maggio Telecom vorrebbe dire sì alla fusione con 3Italia, non ci sono proteste. Né Grillo, né Di Pietro comiziano e pre i piccoli azionisti di Asati per una volta sono contenti per i guadagni che faranno. Pochi, maledetti e subito. Nessuno ha dire qualcosa verso un vertice di vecchi e di giovanotti che devono loro acquiescenza; un gruppo di manager che fuori dallo stretto circolo dell’incumbent, non è considerato; un vertice vecchio, messo lì dalla politica di sinistra; che non ha mai nemmeno difeso l’onorabilità aziendale, anzi che ha subito offerto teste sacrificali alle scorribande togate che dalla privatizzazone in poi, hanno portato tutti i settori aziendali alla sbarra.

Si pensi che nel rapporto sui paradisi fiscali del giornalismo investigativo europeo, esaltato dall’Unione, il caso Italia è rappresentato da un collaboratore di Tavaroli che si faceva pagare in un conto cifrato all’estero. Per anni assemblee, blogger e lavoratori davanti alle machinette del caffè, hanno indicato come problemi Telecom, gli sprechi, le feste (stile Casaleggio), le auto Bmw, gli alti stipendi dei manager, le segretarie amanti, i business personali perseguiti fra le pieghe delle attività istituzionali. Come se nelle blue chip di tutto il mondo e di tutti i settori non ci fossero sprechi, feste, grosse cilindrate, superstipendi, amanti, conti all’estero e difese ostinate dell’onorabilità. Nel business mondiale normale queste brutte cose ci sono tutte. Basta che si mantengano ad un livello minimo rispetto a profitti e investimenti alti, molto alti. Intanto l’Italia che conta chiede un ministro o un sottosegretario per l’Innovazione, magari per dare un ruolo a Bernabè. Anche per Telecom dimostra che ha perso di vista le proporzioni bibliche tra trave e pagliuzza.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:49