Tutte le incognite sul nuovo governo

Sulla tenuta del governo Letta aleggia un grande "boh?", così come - a dirla tutta - sulla sua stessa modalità di costruzione. E' un governo di grande coalizione, ma se si fa un giro nei partiti, e per caso si nota qualcuno che festeggia, si può star certi che è un amico personale di Enrico Letta, qualcuno che in qualche modo ha partecipato ai convegni di "Vedrò", la fondazione (bipartisan, appunto) del neo presidente del Consiglio. Così, a ben vedere, puntellato su tre assi: Economia, Giustizia e Esteri (dove Napolitano ha imposto personalità indipendenti e di autonomo peso specifico), il governo Letta è in tutto mutuato da quell'esperienza e da quel metodo assai lettiano (metodo che, forse, si trasmette per filogenesi). L'esecutivo risulta, in tal modo, estremamente coeso all'interno, tenuto da solidi rapporti politici (son tutti giovani ex-democristiani, che pare un ossimoro, ma non lo è) e umani, ma altrettanto debole nei vincoli con tutto il mondo dei partiti che sta fuori da quel "giro" e da quella visione di intendere la vita politica.

In attesa delle compensazioni date dalla nomina dei vice ministri e dei sottosegretari, ora - per esempio - al governo non è andato tanto il Pdl ma Alfano e coloro che più gli sono vicini: Lupi, e Lorenzin in primis, per certi versi Quagliariello (che nel partito fa gruppo a sé), mentre Nunzia De Girolamo, si sa, è a pieno titolo amica personale del premier (è una costatazione, non un giudizio di valore). Stessa situazione nel Pd, anzi - francamente - anche peggio. Tranne Franceschini, tra i ministri solo seconde o terze linee (compreso il contentino a D'Alema che ha visto nominare ai Beni culturali un semisconosciuto Bray), dal valore più simbolico che politico: Idem e Cecile Kyenge - fuor di giudizio - insegnano. Insomma, al di la delle buone parole, tutte tese alla distensione, se non al "volemose bene", il governo rischia di piacere per davvero solo al fondatore di Repubblica! Mentre rischia di montare una stagione socialmente niente affatto tranquilla, che, in fin dei conti, chiamerei (con ovvi distinguo) "terroristica" (siamo "solo" passati dalla spinta ideologica a quella dovuta alla disperazione), l'unica seria ipoteca di resistenza del governo è la minaccia di dimissioni del presidente Napolitano (ancor peggio di dimissioni senza scioglimento delle Camere), perché tanto nel Pd che nel Pdl la tentazione di staccare la spina è già forte. E da qui all'estate sarà fortissima.

Civati, tanto per fare un esempio, pare non parteciperà al voto di fiducia "per richiamare l'attenzione a un disagio che c'è nei confronti del governo, un disagio che il nostro elettorato sente non solo nei confronti di Berlusconi ma anche dei programmi". "A maggio la resa dei conti - annuncia a mezzo stampa Sandro Gozi - L'assemblea - continua firmatario il firmatario del documento sulla fiducia a Enrico Letta insieme a Sandra Zampa e a Laura Puppato - sia l'inizio di un processo di ricostituzione del Pd o di un nuovo centro-sinistra". Insomma, si prevedono botte da orbi. Barca, Renzi o Epifani che vinca o che "spacchi". Anche nel partito di Berlusconi i mal di pancia sono fortissimi. E non è solo una questione di poltrone negate. La paura che, governando, si possa dissipare un credito elettorale in netto aumento, non è poi così peregrina. E non è un caso se Berlusconi parlando con i suoi deputati ha ribadito che "la restituzione dell'Imu pagata nel 2012 e la soppressione dell'imposta nel 2013 è conditio sine qua non" per il proseguimento della legislatura.

Uomo avvisato… Il gioco del compromesso ha regole difficili, il cui rischio più grande è quello di scontentare ambo le parti in causa. "Sicuramente è e deve essere un'eccezione la convergenza di forze politiche che si sono presentate come alternative alle elezioni, ma è eccezionale che dalle urne non è uscita alcuna" ha detto Enrico letta nel suo discorso di insediamento, annunciando che il nuovo Governo vuole eliminare lo stipendio dei ministri parlamentari, strappando, così, anche l'applauso anche al Movimento 5 Stelle. Il che era necessario, perché dal Pd e da Letta non prevedo grandi sgarbi ai seguaci di Grillo, i quali potranno - in futuro, visto mai - rimanere assai comodi. Mi sono spiegato? Ma la sintesi del neo presidente del Consiglio è tutta qui: "diciotto mesi: risultati o traggo conseguenze". Il motto di Letta è: "o si vince o si perde tutti insieme". Ottimista, a mio avviso, sia sui tempi che sulle conclusioni politiche. Vedremo, anzi Vedrò.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:53