Con una durezza senza precedenti, e un velo di irritazione, il presidente Napolitano si è rivolto alle forze politiche che lo hanno appena rieletto nel suo discorso di insediamento alle Camere. Vere e proprie sberle verbali sono volate nell’aula di Montecitorio all’indirizzo dei partiti, colpevoli di inconcludenza, irresponsabilità, immaturità politica e democratica. Ne ha avute per tutti, grillini compresi. Ma è al Pd che ha attribuito la responsabilità dell’attuale situazione di stallo, di aver perso tempo, non riconoscendo subito che i risultati elettorali imponevano un’intesa tra forze diverse per la nascita di un governo. E ha denunciato aspramente come una pericolosa «regressione» l’idea di politica secondo cui ogni compromesso, ogni mediazione, ogni intesa, è un “inciucio” da demonizzare. E quanto più sferzanti risuonavano le sue parole, tanto più scroscianti (e forse un tantino ipocriti) gli applausi.
Un Napolitano commosso, ma non solo nei passaggi relativi alla sua storia personale e sulla «fiducia e l’affetto» che ha avvertito «crescere» in questi anni, per lui e l’istituzione che rappresenta. In certi momenti la sua commozione è apparsa scaturire da una rabbia e una frustrazione per l’inconcludenza della politica e la diffusa sfiducia nelle istituzioni, sentimenti che probabilmente oggi sono comuni a tutti gli italiani. Ma alcuni risvolti della sua dura reprimenda all’indirizzo dei politici, quelli sull’essenza del “fare politica” e del metodo democratico, farebbero bene ad ascoltarli attentamente anche molti cittadini italiani. Il senso del suo messaggio, infatti, è che la più che giustificata rabbia, e frustrazione verso la politica, non può tuttavia far venir meno la fiducia dei cittadini nella democrazia, nelle sue regole e istituzioni, la razionalità dei comportamenti, né la percezione della realtà, della complessità delle sfide che abbiamo di fronte.
Riguardo il nodo politico più atteso del suo discorso, il presidente Napolitano ha chiarito che non è per prendere atto dell’ingovernabilità nella legislatura appena iniziata che ha accettato la rielezione, ma «perché l’Italia si desse nei prossimi giorni il governo di cui ha bisogno». «Farò a tal fine ciò che mi compete, non andando oltre i limiti del mio ruolo costituzionale… fino a quando la situazione del paese e delle istituzioni me lo suggerirà e comunque le forze me lo consentiranno». Ma nessuna condizione impropria: «Tutte le forze politiche si prendano con realismo le loro responsabilità: era questa la posta implicita dell’appello rivoltomi due giorni or sono», ricorda. Bando alle formule «di cui si chiacchiera», il presidente non attribuisce mandati particolari per la formazione del governo, l’unico vincolo è l’art. 94 della Costituzione, che vuole un governo che abbia la fiducia delle due Camere.
«La condizione è dunque una sola». Ai partiti, soprattutto al Pd che l’ha negata fino ad oggi, Napolitano chiede di «fare i conti con la realtà delle forze in campo in Parlamento», ricordando che «sulla base dei risultati elettorali – di cui non si può non prendere atto, piacciano oppur no – non c’è partito o coalizione (omogenea o presunta tale) che abbia chiesto voti per governare e ne abbia avuti a sufficienza per poterlo fare con le sue sole forze. Qualunque prospettiva si sia presentata agli elettori, o qualunque patto», ammonisce il presidente, «non si possono non fare i conti con i risultati complessivi delle elezioni», i quali «indicano tassativamente la necessità di intese tra forze diverse per far nascere e per far vivere un governo». Eppure, ricordando i suoi «sforzi di persuasione, vanificati dalla sordità» dei partiti, Napolitano va oltre la “condizione” dell’assunzione di responsabilità da parte delle forze politiche, avvertendo che se si troverà «di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato», non esiterà «a trarne le conseguenze dinanzi al paese». Aggiungendo che «non si può più, in nessun campo, sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme».
Quali siano queste «conseguenze», non l’ha esplicitato, ma si può intuire che possono andare dallo scioglimento delle Camere fino all’estrema ratio delle sue dimissioni. In ogni caso, il messaggio è chiaro: Napolitano ha accettato la rielezione per dare un governo al paese. Chi dovesse negare la fiducia a questo governo nascente, o chi dovesse decidere di ritirarla, si assumerebbe la responsabilità di portare non solo alle dimissioni del premier, ma anche alle elezioni il paese o addirittura alle dimissioni dello stesso presidente della Repubblica. Un altro passo, quindi, verso lo schema presidenzialista, dove presidente e governo sono politicamente e istituzionalmente legati l’uno all’altro. Il presidente è stato duro con i partiti non solo, e non tanto, sugli episodi di malcostume, ma per la loro inconcludenza, il costo più salato della politica. Riconoscendo che «l’insoddisfazione e la protesta sono state con facilità (ma anche con molta leggerezza) alimentate e ingigantite da campagne di opinione demolitorie, e indiscriminate, del mondo dei politici e delle istituzioni», ha avvertito che ciò non deve indurre «ad alcuna autoindulgenza, non solo i corresponsabili del diffondersi della corruzione, ma nemmeno i responsabili di tanti nulla di fatto nel campo delle riforme».
Ha ricordato quindi che «quanto è accaduto qui nei giorni scorsi ha rappresentato il punto di arrivo di una lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità». Che alle pressanti richieste di rinnovamento della politica e dei partiti «non si sono date soluzioni soddisfacenti», a causa di «calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi», che hanno «condannato alla sterilità o ad esiti minimalistici». «Imperdonabile», tra le altre cose, la mancata riforma della legge elettorale. In particolare, Napolitano se l’è presa con «quell’abnorme premio di maggioranza, il cui vincitore ha finito per non riuscire a governare una simile sovra-rappresentanza in Parlamento». Il presidente non ha risparmiato il M5S di Grillo: «Volere il cambiamento dice poco e non porta lontano se non ci si misura su problemi» concreti. Ne ha apprezzato l’intenzione di «volersi impegnare alla Camera e al Senato», «quella è la strada di una feconda, anche se aspra, dialettica democratica», mentre ha condannato «quella, avventurosa e deviante, della contrapposizione tra piazza e Parlamento», e della contrapposizione tra Rete e partiti.
Internet è un prezioso strumento, ma «non c’è partecipazione realmente democratica, rappresentativa ed efficace alla formazione delle decisioni pubbliche senza il tramite di partiti», vincolati «all’imperativo costituzionale del “metodo democratico”». E a proposito di metodo democratico, Napolitano ha infine affondato il bisturi sul vero cancro della politica italiana, un atteggiamento diffuso anche tra i cittadini, quella «sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse», che il presidente bolla come «segno di una regressione», l’idea sbagliata «che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse problematiche del governare la cosa pubblica e le implicazioni che ne discendono in termini, appunto, di mediazioni, intese, alleanze». E’ il frutto avvelenato di «un paio di decenni di contrapposizione – fino allo smarrimento dell’idea stessa di convivenza civile – come non mai faziosa e aggressiva, di totale incomunicabilità tra schieramenti politici».
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:52