
Certe giornate memorabili vanno vissute dall’interno, per coglierne le sfumature, non basta seguire le cronache. E così sabato mattina mi procuro un pass per la Camera e in versione patriottica vado ad assistere alla seduta comune. Era la prima volta che entravo e confesso che l’emozione era tanta, perché continuo a considerarlo il tempio della democrazia e della mia libertà, non ostante chi la occupi indegnamente. Ma tant’è. Mi spiegano le regole di bon ton e mi sequestrano ogni dispositivo che mi connetta col mondo. Posso solo viverlo in prima persona e, forse, è stato proprio quello il bello. Entro finalmente, ammiro l’aula e osservo i parlamentari. Non serve essere lombrosiani per individuare a prima vista gli schieramenti e comincio a studiarne le espressioni, gli atteggiamenti. I pentastellati sono baldanzosi, ai limiti della sfrontatezza, parlano tra loro allegri e si sentono la vittoria in tasca, è evidente. Sono convinti che le dimissioni di Bersani porteranno a compimento il disegno della premiata ditta Ricci&Capricci: la spaccatura del PD tra chi vota Rodotà e chi tenterà di accordarsi su un nome condiviso con il PDL, magari la Cancellieri.
La più classica strategia divide et impera era evidente fin da quando è stato imposto il nome del vecchio garante, così come non fosse questione di nomi, ma di scouting di ritorno sulla sinistra. Hanno fatto leva, tanto per cambiare, sull’antiberlusconismo ed ora sono pronti a raccoglierne i frutti con un governo di fatto eterodiretto dalla premiata ditta, in cui contano di far confluire tutti coloro che vivono di odio politico. Vedo Crimi saltellante ed allegro come un muflone dirigersi verso la cabina elettorale e poi tornare a godersi questa inaspettata notorietà e sono piuttosto sconfortata. Altro che cambiamento, qui si prospetta l’ennesimo Ulivo e mi chiedo se ne usciremo mai da questa contrapposizione che cancella la vera politica da 20 anni. Quando osservo i sinistri, però, ho l’impressione che ancora nulla sia così certo. Sono evidentemente disperati, accucciati sugli scranni, chini su giornali e tablet per capire da che parte arrivasse il tir che li ha travolti. Ma soprattutto sono spaesati, non sono ancora convinti che gettarsi nelle fauci del M5S sia la soluzione. Li guardano perplessi di sottecchi, non parlano con loro, non sembrano affatto pronti ad allearsi, ma spaventati, non hanno più una guida e non sanno bene cosa fare.
Dalle espressioni si comprende che non sono pronti al salto nel buio e che ancora per questa votazione dovrebbero rifugiarsi nella scheda bianca indicata da quello che resta del loro partito. A destra non si vede nessuno e questa astensione mi tranquillizza. La quinta votazione sarà ancora a vuoto. A quel punto esco per riconnettermi e vedere quali siano le novità in campo. Quando leggo che stanno cercando tutti di convincere Napolitano a restare confesso che mi prende un colpo. Speravo in una figura più forte, tipo D’Alema, che sapesse imporsi sul suo partito e portarci finalmente alla legislatura costituente, ma a quanto pare i sinistri allo sbaraglio sono terrorizzati da loro stessi e non se la sentono di rischiare. Napo non mi è piaciuto in molte occasioni né tanto meno con la pilatesca non soluzione dei saggi, però se accetta significa che è pronto questa volta ad agire sul serio per mettere d’accordo i riottosi bambini. Ci ragiono un po’ e capisco che Berlusconi sta offrendo al PD un’ancora di salvezza. Anziché buttarsi sulla strategia distruttiva di Grillo e raccogliere i cocci di quel che resta del PD moderato, forse è la volta buona che riusciamo a superare la sterile contrapposizione. Distruggere il PD, infatti, significa ritornare al solito vecchio schema, berlusconiani da una parte ed antiberlusconiani dall’altro.
Basta! Non se ne può più. Per l’ennesima volta, invece, spiazza tutti e, con mossa geniale, anziché infierire tende la mano. Questa è l’ultima occasione per porre fine alla lotta sterile. La scelta è in mano a Napolitano. Se accetta, è arrivato il momento di sotterrare finalmente l’ascia di guerra. Aspetto il comunicato di Napo ed a quel punto rientro a godermi lo spettacolo della storia che si svolge sotto i miei occhi. E lì vi assicuro che non mi divertivo così da tempo. L’atmosfera è radicalmente cambiata dalla mattina. I grillini sono viola come il popolo da cui provengono. Spalle curve sui tablet, leggono frenetici cosa stia accadendo e ora sono loro a cercare di prendere il numero di targa del tir che li ha sdraiati. Hanno l’espressione di chi ha avuto l’occasione della vita e, proprio quando sembrava fatta, se l’è vista scippare dalle mani e si rende conto che non si ripresenterà mai più. Sono loro i morti ora. La premiata ditta Ricci&Capricci ha tirato troppo la corda, ha voluto strafare, ha preteso di stravincere, non bastava vincere, voleva tutto il potere nelle proprie mani mediante la fagocitazione della sinistra e si è ritrovata con un pugno di mosche. La delusione è palpabile, perché non sanno con chi prendersela, non capiscono ancora che l’errore è stato dei loro guru e non se ne capacitano. I comici portavoce dei portavoce, Yoghi e la Ranger Smith, hanno perso completamente la baldanza.
Si vedono, spalle curve e sguardo sconfitto, solo i 2 minuti del loro turno al voto e poi non si fanno vedere più in aula per tutto il pomeriggio, lasciando i cittadini-portavoce persi nella consapevolezza di essere tornati ad essere cittadini qualunque. Uno spettacolo esilarante. Da "stay tuned" a "stay tooned". Sul lato sinistro le cose non vanno di certo meglio. Si respira l’aria della più cocente sconfitta degli ultimi decenni. Sono tutti zitti, non parlano neppure tra di loro, quasi non si conoscessero e non si fidassero più gli uni degli altri, continuano a guardare i tablet, ma per lo più lo sguardo è perso nel vuoto. Sono annichiliti. Loro di politica se ne intendono di più e sono consapevoli di come sia finita un’era ed ora bisogni ricominciare tutto da zero, tirare fuori le idee e ricostruirsi davvero. Perché la realtà è che ieri è finita la guerra civile fredda e davanti a Napolitano hanno siglato l’armistizio con l’apposizione del suo timbro ufficiale. Dopo 20 anni di lotta fratricida senza esclusione di colpi, di Italia divisa in fazioni di pro e contro, che aveva fatto perdere di vista l’interesse della Nazione, le due parti in lotta, siglando la pace, hanno fatto finalmente il passo storico: si sono legittimate a vicenda. Votare insieme per il Presidente della Repubblica, con lui che accetta di farsi garante di questo armistizio, ha significato riconoscersi a vicenda come avversari e non più come nemici.
È ciò che non ha potuto fare, né avrebbe potuto farlo, l’appoggio congiunto al governo Monti, perché l’errore di affidarlo a tecnici ha di fatto deresponsabilizzato entrambe le parti. Da oggi si cambia davvero. Ora c’è una sola strada segnata per uscire dallo stallo economico, ma soprattutto democratico ed istituzionale in cui i veti incrociati ci avevano fatto finire. Ed è la strada del mettersi intorno a un tavolo, legittimarsi politicamente l’un l’altro per riscrivere una carta costituzionale che ormai ha fatto il suo tempo, arrivando finalmente a quel presidenzialismo che è il vero vincitore della giornata di ieri. Lo ha dimostrato proprio il PD riunendosi sotto la guida di Napolitano, perché ormai aveva perso la bussola e, come ogni specie animale, si è affidata ad un capobranco per non farsi sbranare. Berlusconi si è comportato da statista permettendo loro di sopravvivere, ma costringendoli a smetterla di considerarlo un alieno della politica. Ha detto bene Vendola: lo hanno trattato per decenni come una macchietta incapace di fare politica, ma li ha fregati proprio dimostrando loro come si fa. Che questo fosse l’obiettivo lo si capisce guardando i parlamentari di destra, sereni, allegri, soddisfatti, grandi sorrisi, parlano tra loro, si raccolgono attorno a Berlusconi quando arriva a raccontare quanto accaduto, non stanno fermi un attimo, passano da un gruppetto all’altro e sentono di essere loro i protagonisti della giornata, perché hanno ottenuto quello che sapevano essere inevitabile fin dal giorno delle elezioni. A sinistra ci hanno messo fin troppo per capirlo, sono dovuti implodere per arrivarci, ma adesso, una volta accettato il voto congiunto con il nemico di sempre, la direzione è segnata.
Ora, non hanno altra scelta che fare quello che gli Italiani stanno chiedendo loro da due mesi: deporre le armi ed accordarsi per nuove regole che non potranno che partire dal rispetto reciproco degli avversari, che tornino a rendere prevalente la politica vera sull’odio fine a se stesso, che è ciò che ci ha portato a questo disastro. I provvedimenti economici concordati, un governo autorevole in Europa, perché appoggiato politicamente da entrambi gli schieramenti, non saranno altro che la conseguenza di questo armistizio e di questa assunzione comune e reale di responsabilità. Chi ha perso davvero ieri? Ha perso il vecchio odio, il vecchio modo di combattersi insultandosi a vicenda, i vecchi estremismi, i vecchi epigoni dell’antiberlusconismo, coloro che volevano fingere di cambiare perché tutto restasse com’è stato in questi 20 anni. La premiata ditta gattopardesca Ricci&Capricci non rappresenta affatto il cambiamento, ma è il simbolo di coloro che vogliono mantenere la politica ferma a Mani Pulite, alla delegittimazione morale dei nemici, alla lotta di classe, all’insulto reciproco. E quanto sia stata bruciante la sconfitta è stato plasticamente evidente al momento dell’applauso al raggiungimento del quorum. Tutti i parlamentari in piedi ad applaudire rivolti verso di loro e loro lividi, maleducatamente seduti, con le spalle curve, si sarebbero nascosti sotto i banconi se avessero potuto, spaesati e consci di essere stati umiliati proprio per il tatticismo che non hanno saputo manovrare per palese inesperienza.
In fondo, poveracci, è anche grazie a loro se si è arrivati all’armistizio, proprio perché avrebbero voluto portare la guerra civile alle estreme conseguenze e la democrazia non glielo ha permesso. Altro che colpo di stato. Il tutto concluso dalla ciliegina della retromarcia su Roma, che ha suggellato la sconfitta di un vecchio modo di fare politica che mi auguro di non vedere mai più. In piazza ieri c’erano le solite vecchie facce, le solite stinte bandiere degli estremismi di destra e sinistra, i soliti vecchi anarchici che sguazzano nel caos e nell’ingovernabilità. Mi spiace per coloro che si sono fatti abbindolare dal finto nuovismo di Grillo e Casaleggio, i quali hanno sfruttato la loro buona fede per raccogliere i fondi di chi ha investito in loro ed usarli per tentare un OPA ostile nei confronti di quel che era rimasto della sinistra. Gli è andata male. Peggio per loro, meglio per noi.
Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 10:46