Il caso Terzi ancora scuote la Farnesina

Dopo le rivelazioni di Panorama, che ieri ha pubblicato ampi stralci della lettera del Segretario Generale della Farnesina Michele Valensise - recapitata al ministro Terzi a poche ore dalla relazione alla Camera conclusasi con le sue dimissioni - c’è da chiedersi: il corpo diplomatico ne chiedeva vivamente la destituzione tout court (cogliendo la ghiotta occasione), oppure gli dimostrava l’incondizionato appoggio alla strategia da lui fin lì intrapresa nella gestione dell’affaire marò? Nella missiva si legge che causa “della gestione del caso, la sua improvvisa evoluzione di giovedì scorso (la decisione del Governo di rimandare in India i marò ndr), le pesanti polemiche che ne sono conseguite sono fonte di grande frustrazione per l’amministrazione (…) è unanime ritenere che l’odierno intervento in Parlamento costituisca l’ultima occasione utile per dissociare pubblicamente le responsabilità del ministro degli Esteri da quelle di coloro che, in questa vicenda, hanno voluto sacrificare la linearità e la coerenza dell’azione dell’Italia (…)”

Il linguaggio diplomatico, purtroppo, non viene in soccorso: con più chiarezza, forse, si sono espressi i sindacati che alla notizia delle dimissioni del ministro Terzi, in estrema sintesi, hanno commentato: “meglio tardi che mai”. Il sindacato dei diplomatici, del resto, aveva già più volte stigmatizzato il “metodo di lavoro” del ministro Terzi, il quale - a suo dire - ha sempre rifiutato una gestione collegiale del ministero e, tanto più, dei dossier più sensibili. L’interpretazione della lettera non è questione di lana caprina. Perché se fosse, come è facile immaginare sostenga Terzi, che tutti i direttori generali, attraverso la voce dell’ambasciatore Valensise, gli dimostrarono il loro sostegno (e, quindi, si fossero sentiti in aperto disaccordo con le decisioni del Governo), oggi alla Farnesina - con l’arrivo di Monti in qualità di ministro - c’è un problema non da poco. Per coerenza le dimissioni dovrebbero diventare una catena di Sant’Antonio. Sarebbe una nemesi paradossale, ma per certi versi, quasi doverosa.

E Monti, poi, che fiducia potrebbe mai avere dei suoi funzionari? "Gli uomini si fidano delle orecchie meno che degli occhi" scriveva Erodoto: è tutto, quindi, sospeso in una questione di ermeneutica, di sfumature semantiche e comportamentali, come spesso accade nei corridoi dall'algido palazzo della diplomazia. Tutto ciò mentre (entro fine aprile, almeno se si tiene conto del regolamento interno al Ministero), il ministro Monti dovrà mettere mano alle promozioni al grado di ambasciatore (dieci posti disponibili) che, nella carriera diplomatica (e per l’Italia), non è cosa da poco.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:06