Ali Agca, il Papa e l'ayatollah Khomeini

«Sono cresciuto nell’odio. Nell’odio per l’Occidente, i cristiani, gli ebrei, gli Stati Uniti d’America. Sono cresciuto credendo che contasse soltanto imporsi, affermarsi, se necessario annientando i propri nemici. Nessuno mi ha mai detto che esisteva un’altra possibilità: porgere l’altra guancia, rispondere alla sete di potere e affermazione, di distruzione e odio, con la loro antitesi, l’amore. Sono passati parecchi anni dal 13 maggio 1981, giorno in cui ho sparato al Papa in piazza San Pietro. Trentadue per l’esattezza, trenta dei quali li ho trascorsi in carcere, fino al 2000 in Italia, a Roma, nelle prigioni di Rebibbia e Regina Coeli, poi ad Ascoli Piceno e ad Ancona. Nel 2000 ho ottenuto la grazia e, quindi, l’estradizione in Turchia. Ma anche lì ho dovuto saldare i conti con la giustizia, fino al 2010, l’anno della liberazione. Nel carcere di Istanbul ho scontato la pena per una sentenza del 1980 che mi riconosceva colpevole dell’assassinio di Abdi Pekçi, direttore del quotidiano liberale Milliyet , ucciso il 1° febbraio 1979.

In realtà non ero stato io a sparare. Era stato il mio amico appartenente ai Lupi grigi, Oral Çelik. Io avevo fatto soltanto da palo». Inizia così “Mi avevano promesso il Paradiso”. Il libro che racconta la verità, l’ultima, di Ali Agca sui mandanti dell’attentato al Papa. Nella fattispecie Khomeini in persona da cui lui avrebbe ricevuto il mandato. Inutile dire che nel piatto, conformista e vigliacco panorama editoriale italiano ed europeo «nessuno lo voleva pubblicare». Come è emerso dalle parole dell’editore Lorenzo Fazio di Chiarelettere durante una presentazione del libro trasmessa da Radio Radicale. Fazio invece ha fato il colpaccio. Agca ha preso a lungo in giro la giustizia italiana e vaticana, per non parlare di quella turca da cui era stato condannato a morte per l’omicidio dell’ex direttore di “Milliyet”. Però stavolta quello che racconta sembra molto credibile anche perchè ha una logica. Se la pista bulgaro-sovietica sembrava il classico maggiordomo autore di un delitto, l’ipotesi del capo dell’estremismo islamico dell’epoca, l’ayatollah Ruhollah Khomeini, che voleva fare uccidere un Pontefice il 13 maggio 1981, giorno dell’anniversario delle apparizioni mariane di Fatima, per inverare la profezia del terzo segreto che annunciava proprio la morte di un Papa e la fine del cristianesimo, ha un fascino logico. L’interpretazione islamica di Fatima contrapposta a quella cattolica.

E nel 1994 il regime iraniano diffuse una propria nota per dire che la apparizione in questione fu proprio quella della figlia di Maometto, Fatima, invece che quella della Madonna. Insomma l’inizio di una guerra di religione che dura ancora oggi tra islam e cattolicesimo, ma anche tra islam e ebraismo. Ecco il passo del libro in cui Agca racconta la “mission impossible” ricevuta da Khomenini in persona: «Te lo dico io, l’ayatollah Khomeyni. Allah ti chiama a questo grande compito. Non dubitare mai, abbi fede, uccidi per lui, uccidi l’Anticristo, uccidi senza pietà Giovanni Paolo II e poi tu stesso togliti la vita affinché la tentazione del tradimento non offuschi il tuo gesto. Questa morte aprirà una volta per tutte la strada del ritorno dell’imam Mahdi sulla terra. Questo spargimento di sangue sarà il preludio della vittoria dell’Islam su tutto il mondo. Il tuo martirio sarà ricompensato con il paradiso, con la gloria eterna nel regno di Allah». In un paese normale una confessione come questa dovrebbe mobilitare la stampa, la magistratura e l’opinione pubblica. Invece il libro di Agca per ora riceve solo silenzi e qualche articolo sparso su “Il Fatto” (Chiarelettere ne è socio quota parte, ndr), sul “Foglio” e su “La stampa”. Va bene non turbare le relazioni diplomatiche con l’Iran e le vendite di armi sottobanco, per non parlare del fantomatico dialogo interreligioso con i mussulmani, ma forse un po’ di autocensura in meno non farebbe male agli italiani e in genere a tutti gli europei. La favola dell’ “islam religione di pace” viene infranta ancora una volta da un ex fanatico che descrive dall’interno cosa siano i paesi dove vigono regimi che si autodefiniscono islamici. Prendiamone atto. Parlandone senza tabù politically correct.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:11