
«Avessi detto qualcosa di particolarmente intelligente... ho detto quello che pensa il 95% degli italiani». No fa marcia indietro, il sindaco di Firenze Matteo Renzi, che in un'intervista radiofonica ritorna sulla sua affermazione secondo cui la politica al momento starebbe «perdendo tempo». Per Renzi a 40 giorni dal voto «non soltanto non sappiamo chi ha vinto e perso, ma non abbiamo la più pallida idea di quando ci sarà un governo». «Uscire e farsi un partito non ha senso, ce ne sono già troppi», risponde Renzi all'intervistatore che ipotizzava che Renzi potesse fare come Giorgia Meloni, ovvero uscire da un grande partito in dissenso col vertice Da quella che sembra una clamorosa rottura con i vertici del partito, insomma, il sindaco fiorentino non torna indietro. Renzi ha rotto la fragile tregua interna e trae il dado, terremotando il Pd in una fase delicatissima per l'elezione del nuovo Capo dello Stato e per il governo. «Bersani decida: o si fa un accordo con Berlusconi o si fa votare, non si può stare fermi», è la sfida del sindaco, che sbarra la strada alla soluzione del governo di minoranza del leader dem. Una guerra per la premiership che Bersani non ha intenzione di subire, accusando il rottamatore di intelligenza con il nemico e tirando dritto per la sua strada.
Un affondo a tutto campo che lambisce anche l'ultimo tentativo del Quirinale di avvicinare, con il lavoro dei saggi, i partiti. «Non stiamo perdendo tempo» chiarisce il presidente Giorgio Napolitano nonostante il sindaco avesse precisato che «è assurdo dare la colpa al Capo dello Stato per la situazione politica». Ma è dentro il Pd che l'accelerazione di Renzi apre la guerra e profila un muro contro muro tra le truppe di Bersani e quelle del rottamatore destinato ad avere un vincitore e un vinto. Il segretario si limita ad un gelido «siamo qua», irremovibile sul suo progetto, ma arma le truppe. «Berlusconi ripete ossessivamente - è la linea dei fedelissimi - che o si va col Pdl o si va al voto. Se Renzi si vuole accomodare e fare il governo con il Pdl faccia pure, ma non è la linea scelta dal partito». Un'accusa di intendenza con il nemico che per il sindaco, già oggetto di critiche quando andò ad Arcore ad incontrare il Cav., altro non è che la visione di «fantasmi». In realtà il vero oggetto dello scontro non è tanto l'intesa con il Pdl ma subito il metodo con cui sarà scelto il Capo dello Stato e poi, di conseguenza, le scelte per il governo. Bersani ha avviato contatti e incontri, per primo Mario Monti, nel tentativo di trovare «un'ampia condivisione» sul candidato per il Quirinale.
E sono già in piena attività i mediatori Pd-Pdl in vista di un incontro con Berlusconi se si dovesse arrivare ad una stretta. Ma, a quanto si apprende, Renzi teme che Bersani non voglia veramente un accordo ma punti ad eleggere un presidente della Repubblica, a lui vicino, come ad esempio Romano Prodi, che gli dia l'incarico per andare alle Camere e provare a formare un governo, puntando ad allargare i dissidi interni al M5S. «In quel caso Matteo chiederà il congresso e si candiderà a segretario», spiega all'Ansa chi lo conosce. Perché, come ha fatto chiaramente capire anche lui, il sindaco di Firenze è pronto a candidarsi alla premiership, dentro e non fuori il Pd, e vede nuove elezioni in un orizzonte temporale che arrivi al massimo alle europee del 2014. L'ipotesi di una coabitazione tra Bersani, nel caso in cui riuscisse a formare un governo, e Renzi rischia però di far saltare il Pd. E già iniziano a circolare le prime voci di scissione.
Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:02