Il telecomando della discordia

La battaglia del telecomando ha lasciato un campo di scontenti. Ormai è una prassi: presa una decisione subito dopo viene contestata, criticata. Figuriamoci se si tratta di programmi televisivi. L’Authority per le garanzie nelle comunicazioni, dopo mesi d’incertezze, di minacce giudiziarie, di consultazioni, ha predisposto il nuovo ordine automatico in base al quale vengono fissate le posizioni dei vari canali digitali (Lcu) sul telecomando. Un ordine per facilitare, nelle intenzioni, la ricerca che spetta sempre al teleutente che può accendere, cambiare, spegnere la tv. Ebbene essere piazzati nelle prime 10 posizioni del telecomando rende certamente più semplice sintonizzarsi, vedere con immediatezza il programma, cambiare canale. È stato privilegiato il criterio del numero unico da schiacciare invece della possibilità di pigiare tre numeri.

Una questione di non poco conto, anche ai fine dell’ascolto. Il ricorso all’Agcom si era reso necessario a causa della giungla delle emittenti esistenti in Italia, un numero che non ha paragoni in Europa. Dalla fine del monopolio radiotelevisivo fissato dalla Corte Costituzionale alla nascita dei “etere selvaggio” è stato un crescendo di piccole e medie entità televisive. Con l’arrivo del digitale terrestre le porte dell’etere si sono maggiormente spalancate. Era necessario mettere ordine almeno nella conoscenza dello scenario dei canali. Fatto tutto bene? Le discordanze di vedute iniziano da qui. L’Authority ha effettuato un’indagine di mercato sulle preferenze degli utenti. La gara è stata vinta dall’Istituto Piepoli che ha consegnato i risultati di un campione di 23.600 utenti tv. Le critiche si appuntano anche sulla rappresentatività di questo campione. Partendo da questi risultati lo spazio utilizzabile del telecomando è stato diviso in “10 archi” da 1 a mille. Nei primi dieci ha piazzato i tre canali Rai, poi i tre canali Mediaset (Rete 4, Canale 5, Italia uno), poi La 7 (Cairo), all’ottavo posto Mtv(conglomerato dei media Viacon-Telecom) e al nono Deejay tv (Espresso).

L’ultimo arco che va da 901 a 999 è stato riservato esclusivamente all’emittenza locale che in totale si è visto attribuire 323 numerazioni invece delle 219 del piano precedente. L’obiettivo doveva essere quello di incrementare la concorrenza e il pluralismo nel sistema televisivo che tra l’altro raccoglie circa il 60 per cento del totale della spesa pubblicitaria in Italia. In realtà il piano ha sanzionato il rafforzamento delle posizioni dominanti esistenti nel sistema analogico. Le associazioni delle emittenze locali hanno quindi lamentato di aver perduto visibilità a causa di una peggiore collocazione. Molti i dubbi sollevati. Quali sono stati i paletti per misurare la dimensione aziendale e la qualità della programmazione (indici d’ascolto, numero del personale a contratto, copertura del segnale)? I dati e le classifiche Auditel fino a che punto sono rispondenti all’ascolto reale? Il primo regolamento dell’Agcom era stato bocciato dal Tar del Lazio e dal Consiglio di Stato su ricorso di numerose aziende e da Sky che chiedeva di adottare una numerazione a 3 cifre per tutti in modo da non penalizzare i canali da 101 a 999. Annullata la primitiva numerazione sulla base delle graduatorie dei Corecom (i comitati regionali di matrice politica) la nuova struttura per archi quanto reggerà? Secondo l’imprenditore Cosantino Federico di Rete Capri( penalizzata) si tratta di un’operazione politica per garantire Rai, Mediaset, Telecom ed Espresso di De Benedetti. Dietro l’angolo, e cioè a partire dal 2015, è in arrivo, comunque, una nuova tecnologia alla quale tutti dovranno adeguarsi in Europa a causa dell’espansione di smartphone e tablet.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:49