
La difficoltà della fase politica che stiamo vivendo è figlia di un risultato elettorale che è particolarmente drammatico perché il nostro è un paese attraversato diverse crisi. La crisi economica, pervasiva e apparentemente senza fine, la crisi di autorevolezza di tutte le classi dirigenti, la crisi delle istituzioni. Poiché si tratta di un'insufficienza strutturale, riuscire a porvi rimedio non sarà facile né scontato e richiederà tempi lunghi. Se stiamo alla settimana appena trascorsa, ad esempio, essa ha visto Napolitano dare un incarico che non è un incarico, i nostri militari che - dopo essere stati "sottratti" all'India con l'inganno - vengono riconsegnati senza che apparentemente sia successo nulla di nuovo, l'incapacità di adottare rapidamente una misura economica per salvare le imprese dal fallimento più ingiusto, quello per crediti con uno Stato insolvente. Sono tutti sintomi della stessa crisi: un paese senza leadership e con le sue istituzioni in forte sofferenza. Lo testimoniano anche le recenti parole del Presidente Napolitano sul dover "garantire la continuità delle istituzioni repubblicane".
Parole inedite e da non sottovalutare. Una crisi istituzionale non è probabile, ma è possibile; continuare ad agire pensando che il peggio non possa accadere è irresponsabile. In questo quadro la Direzione di ieri, la più veloce (e inutile) della storia del PD, ha visto Letta e Bersani confermare la scelta per il cosiddetto "doppio registro", uno per le riforme istituzionali e un altro per il governo del paese. Con Letta più attento a sottolineare la necessità delle prime (e il fatto che per farle è necessario l'apporto di tutte le forze politiche) e Bersani concentrato sulla strategia per ottenere la fiducia e avviare quel "governo del cambiamento" che realizzi gli "otto punti" (che poi sono una trentina) presentati dal PD. Strategia che prevede l'appoggio di Scelta Civica e - si parva licet - la "non sfiducia" da parte delle altre forze, a partire dal MoVimento di Grillo. Sarebbe un governo appeso allo stato di salute dei Senatori a vita e legato agli umori di novelli "turigliatti" di ogni colore. Sentite le parti sociali, Bersani ha detto che servirebbe un governo che faccia i miracoli. Può farli un governo nato così? Quale legge di stabilità potrà mai proporre al Parlamento tra pochi mesi? Sempre che non abbia ragione Il Fatto che oggi ha scritto che Bersani intenderebbe umiliare se stesso, il PD e i suoi elettori chiedendo ai parlamentari del M5S di indicare loro il premier che i democratici devono votare. Siamo seri (cit.).
Le formule non contano. Governo del cambiamento, governo del Presidente, governo istituzionale, governo di scopo… che tipo di governo sarà (se sarà) dipende da ciò che farà, non da come si chiamerà. Servono un governo e un parlamento che facciano poche cose non più differibili: 1) misure per affrontare l'emergenza occupazionale e quella economica; 2) revisione del patto di stabilità interno e pagamento dei debiti della P.A.; 3) nuova legge elettorale, possibilmente associata a una riforma costituzionale (doppio turno, semipresidenzialismo e superamento del bicameralismo); 4) riforma dei partiti e connessa archiviazione del finanziamento pubblico. Se Bersani dovesse fallire, Napolitano riparta da questi punti prima di archiviare la XVII legislatura. Non sarà un "governo del cambiamento, ma la sua nascita consentirà di far lavorare un "Parlamento del cambiamento", visto che tutti riconoscono a quello in carica un tasso di novità e una voglia di fare apparentemente mai visti dagli albori della Repubblica. Per un paese senza leadership e senza speranza potrebbe essere finalmente un nuovo inizio.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:50