Carceri, questione di diritto (e diritti)

I detenuti, al 18 marzo 2013, risultano essere 65.995. Oltre 12mila risultano in attesa di primo giudizio; 39.653 sono i condannati in via definitiva. La capienza regolamentare è di quasi 46 mila posti. “Solo” 19.995 in più…Ogni numero corrisponde a una persona, è bene ricordarlo. I dati sono ufficiali, li ha forniti il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria, durante la conferenza stampa di presentazione del "Progetto circuiti regionali" presso il Museo criminologico a Roma. Secondo i dati del Dap, i condannati in via definitiva sono il 60 per cento, cioè 39.653. Lombardia, Campania, Lazio e Sicilia le regioni col maggior numero di detenuti: 9.233 per la regione Lombardia, 8.412 in Campania, 7.201 nel Lazio e 7.080 in Sicilia. Ancora: dall'inizio del 2013 sono 221 i tentati suicidi registrati nei penitenziari italiani. Le cifre di un disastro, di un’ordinaria emergenza. La questione è stata ignorata durante tutta la campagna elettorale.

I partiti non ne hanno voluto parlare, per calcolo (non è ritenuta popolare), o insipienza (non sanno bene che cosa proporre). Fatto è che si sono comportati come se non esistesse. A maggior ragione ora: la giustizia, la sua cronica, strutturale inefficienza, e quella specifica delle carceri non appartiene, a quanto pare, a nessuna delle "agende" e dei programmi che vengono squadernati. In questo si è davvero raggiunta una sorta di unità nazionale. E tuttavia, la questione c’è tutta. Grazie a un lavoro di documentazione del Centro Studi di “Ristretti Orizzonti”, disponiamo di dati che sempre meno fanno 'notizia': nelle carceri italiane si continua a morire, sei decessi nei primi 15 giorni di marzo. In tre casi si tratta sicuramente di suicidio, mentre per gli altri tre casi le cause non sono ancora state accertate:

16 marzo, Ospedale Psichiatrico di Reggio Emilia: un detenuto ghanese di 47 anni si toglie la vita. L'uomo si è inferto una ferita allo stomaco; portato d'urgenza al pronto soccorso, i medici tentano di operarlo per salvargli la vita, ma la ferita è troppo profonda. Il ghanese muore.

18 marzo, Casa di Reclusione di Massa Carrara: un detenuto muore in cella il giorno prima di uscire in permesso premio. Non si hanno ulteriori notizie.

18 marzo, Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia: Daniele D.L., 29 anni, originario di Roma, detenuto per "reati minori" viene ritrovato morto in cella.

15 marzo, Casa Circondariale di Milano San Vittore: un detenuto muore nella notte. Era rinchiuso nel terzo raggio e di nazionalità straniera.

8 marzo, Casa Circondariale di Pescara: un detenuto tunisino viene ritrovato senza vita nella sua cella. Secondo i primi risultati dell'autopsia la morte è dovuta ad "asfissia acuta". Casa Circondariale di Crotone.

6 marzo, Pasquale M., 27 anni, si impicca al letto a castello della cella (nella quale era rinchiuso da solo!). Era stato arrestato il giorno precedente con l'accusa di aver preso parte ad una rapina.

Di tutta evidenza, dunque, urge un intervento che affronti la questione carceraria. Nei discorsi inaugurali di dei presidenti di Camera e Senato il tema è stato affrontato. Papa Francesco ha fatto sapere che per il tradizionale rito del “lavare i piedi”, ha scelto i giovani reclusi di Casal del Marmo. Spetta ai neo-parlamentari, quale che possa essere la durata del loro mandato, affrontare la questione e risolverla. La Corte Europea sui Diritti dell’Uomo (CEDU) è stata categorica: l'Italia ha un anno di tempo per porre rimedio al sovraffollamento che produce condizioni inumane di detenzione. Carcere e condizioni di vita intollerabili per l'intera comunità carceraria, epifenomeno della più generale situazione Giustizia: questioni politiche, che tuttavia vengono relegate come fossero 'tecniche'. Ogni giorno nei tribunali si consuma quella che si può ben definire amnistia strisciante, clandestina e di classe: l'amnistia delle prescrizioni, di cui beneficia solo chi si può permettere un buon avvocato, o si potrebbe maliziosamente osservare, chi ha 'buone amicizie'; sono circa 150mila i processi che ogni anno vengono chiusi per scadenza dei termini.

Ogni giorno almeno 410 processi vanno in fumo, ogni mese 12.500 casi finiscono in nulla. I tempi del processo sono surreali: in Cassazione si è passati dai 239 giorni del 2006 ai 266 del 2008; in tribunale da 261 giorni a 288; in procura da 458 a 475 giorni. Spesso ci vogliono ben nove mesi perché un fascicolo passi dal tribunale alla Corte d'Appello. Una situazione, a parte gli irrisarcibili costi umani, che grava pesantemente sui conti dello Stato. L'esasperante lentezza dei processi penali e civili italiani costano all'Italia qualcosa come 96 milioni di euro l'anno di mancata ricchezza. La Confindustria stima che smaltire l'enorme mole di arretrato comporterebbe automaticamente per la nostra economia un balzo del 4,9 per cento del PIL, e anche solo l'abbattere del 10 per cento i tempi degli attuali processi, procurerebbe un aumento dello 0,8 per cento del PIL. Grazie al cattivo funzionamento della giustizia le imprese ci rimettono oltre 2 miliardi di euro l'anno, e il costo medio sopportato dalle imprese italiane rappresenta circa il 30 per cento del valore della controversia stessa, a fronte del 19 per cento nella media degli altri paesi europei. Una questione sociale, umana, di diritto e diritti.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:50