Il gesuita che processò la Curia

Un conclave all’insegna del Vatileaks e del dossier fatto compilare e poi secretato da Benedetto XVI su tutti i mali della “lobby” italiana in Vaticano. E poi ecco che viene fuori, miracolosamente, uno pseudo outsider, in realtà un semplice “non considerato” (e tantomeno desiderato) dai vaticanisti. Che stanno alle previsioni sui Papi come i sondaggisti alle elezioni italiane. Un vero gesuita. Il cui nome scelto evoca, oltre al quasi eretico e dolciniano Francesco che faceva da ambasciatore con l’islam durante la quinta crociata, con tanto di incontro con Saladino e con il nipote per salvare gli ostaggi cristiani in Medio Oriente (nulla a che vedere con Bin Laden o Boko Haram si intende, ndr), quello di Francesco Saverio, il co fondatore dei gesuiti insieme al de Loyola Ignacio.

Quindi occhio ai simboli, il Vaticano è la terra del “nomen omen”, dove “omen” è il segno, non la maledizione. Francesco come Francesco d’Assisi ma anche come il gesuita Francesco Saverio. Nome non a caso dato a suo tempo dai genitori magistrati anche al futuro procuratore capo di Milano dei tempi di “tangentopoli”. Il cardinale argentino durante le ultime ore di conclave è stato il perno di un vero e proprio processo a Comunione e liberazione e al suo preteso referente, il cardinale Angelo Scola. Che ha incarnato in maniera tragicomica la categoria dello spirito di colui che era veramente destinato a entrare Papa e poi uscire cardinale dalla Sistina. Per giunta in zona Cesarini. Con tanto di gaffe esilarante raccontata ieri da Gian Guido Vecchi sul “Corriere della sera” in maniera impietosa: la Cei, la conferenza episcopale, solo poche ore prima dell’ episodio “imprevisto”, era così sicura dell’elezione di Scola da portarsi avanti coi compiti. E far confezionare un comunicato stampa ufficiale con cui ci si congratulava pomposamente con l’ex patriarca di Venezia. E quel comunicato, che ovviamente a quel punto andava riscritto, è stato invece mandato così, come era stato concepito e voluto in precedenza, da una qualche manina per fax alla sala stampa del Vaticano.

Il tutto giusto qualche minuto dopo che Francesco si era già mostrato a piazza San Pietro. Un episodio grottesco, che si è inserito in un’atmosfera da festival di Sanremo. Con il cardinale yankee Dolan autore di un’improvvisata conferenza stampa, trasmessa da “Repubblica tv” e presente nei contenuti multimediali dell’edizione ipad del quotidiano di ieri, in cui l’”amerikano” del Nord metteva il cappello sull’elezione del collega del continente del Sud. Roba mai vista. Che ha reso quasi inutile la consueta conferenza stampa di ieri del portavoce padre Lombardi, che in questi giorni in tv sembrava un allenatore di una squadra di calcio dopo l’ennesima partita persa tre a zero. Così come nessuno ieri di buon mattino si aspettava che il Papa in forma perfettamente anonima si presentasse a un ingresso laterale della Chiesa di Santa Maria Maggiore per andare a pregare. Senza scorta, senza auto blindata Così. E difatti i timori indicibili paventano che un personaggio del genere, che dichiara guerra all’establishment del Vaticano (in una maniera come noi italiani nella nostra democrazia partitocratica e partitocentrica ci possiamo solo immaginare, al di là dei velleitarismi millenaristici del movimentismo di Grillo), possa essere in pericolo di vita fin da subito. Il ricordo della fine del papa Luciani è ancora molto vivo.

Certo ieri le ostilità bipartisan, della teologia della liberazione sub speciem prelata e degli uomini di Cl in Vaticano, erano già scatenate. Sulla rete, sui media e oltre. “El mundo” raccontava del rapporto controverso dell’ex arcivescovo Bergoglio con la giunta militare di Videla in Argentina e l’episodio del salvataggio di due preti desaparecidos strappati a sicura morte e poi fatti “spretare” una volta tornati dal nulla, ma anche le voci di collaborazionismo. Su internet spopolano i siti di impostazione “complottista” in cui, senza se e senza ma, il neo Papa viene dato per amico dei militari argentini e per nemico della madri di Plaza de Mayo. Ci sono foto di Pio Laghi spacciate per sue immagini giovanili di lui con accanto Videla in uniforme marziale con tanto di baffoni. E quindi, da opposti estremismi anti cambiamento, era già stato allestito un bel piattino, fatto di voci maligne, leggende metropolitane e verità storiche manipolate per fare lievitare un’atmosfera ostile intorno a questo Papa che invece si annuncia straordinario. Sì, già dal nome, Francesco, si preannuncia un Papa di svolta.

Uno che potrebbe chiedere al futuro segretario di stato, forse non italiano, di rinunciare, ad esempio, alla quota non assegnata alla religione cattolica direttamente nelle dichiarazioni dei redditi degli italiani dell’8 per mille. Uno che potrebbe far commissariare se non sciogliere lo Ior e che potrebbe chiedere alla diplomazia vaticana di farla finita con quella trattativa della vergogna che ha come fine la conferma del non pagamento dell’Imu. Soluzioni francescane che spaventano la Curia italiana. Così come questo Papa difficilmente scriverà introduzioni dotte e discettanti sul “relativismo”, salvo poi fare l’atto più relativista e burocratico del mondo dimettendosi da Papa, ai libri di Marcello Pera. Se il buongiorno si vede dal mattino, con un Papa che dal nome disprezza il potere temporale, tutti i baciapile politici all’italiana nonché gli atei devoti all’amatriciana dovranno cercarsi altre sponde. Ora che un possibile Papa nero gesuita è diventato bianco e di tutti i cristiani cattolici, tutto può succedere. Anche le profezie di Nostradamus, in questa nuova luce, sembrano più credibili delle visioni di Casaleggio.

E va citato un altro papa, laico, come Marco Pannella che già dopo la morte di Giovanni Paolo secondo si auspicava e si aspettava un successore che salisse al soglio di Pietro con il nome di Giovanni XXIV o con quello di San Francesco. Staderini di Radicali italiani aveva persino rilasciato un’intervista al “Fatto” parlando della possibile ascesa di un “Francesco primo”. Anche se ora sappiamo che per prudenza si chiamerà Francesco e basta. Anche per scaramanzia, per non avere lo stesso destino di quell’altro Papa, Giovanni Paolo, che per errore mise l’aggettivo primo che invece va al successore di chi inaugura un nome. Sia come sia, proprio Pannella si dice convinto che «Pietro in questo momento è più trasparente e rivoluzionario di Cesare», cioè ad esempio del Capo del nostro stato e di tutte le istituzioni che stanno giocando a nascondino con le proprie responsabiità dopo le elezioni. E sarebbe davvero il colmo che l’aiuto a Cesare debba venire proprio da Pietro.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 10:49