Europa e sindacati in tempo di crisi

Per molti aspetti la politica è poco credibile per l’abitudine inveterata a nascondere i fatti ed i passaggi della storia scomodi. Il riflettore, inchiodato ed avvitato a muro e pareti è sempre fisso su alcuni eventi, raccontati con sempre maggiore banalità e superficialità. Gli eventi ed i dati ignorati e sottaciuti, se erano mari, si sono fatti oceano. Il programma Cittadinanza Europea, avviato cinque anni fa dal Parlamento Europeo è arrivato con meticolosa burocratica precisione al quinto anno. Cinque anni, in cui si è passati dal sol radioso dell’avvenire europeo ad una alta e preoccupante contestazione dell’istituzione stessa Unione Europea. Cinque anni di botte recessive, come il meno 4,4% del Pil europeo del 2009 e come gli ulteriori segni negativi continentali che hanno segnato il 2012 e segneranno il 2013. Con malizia gli analisti degli Usa, che sono sì un alleato ma sopratutto un competitor, danno la colpa di questo stato di cose alla gestione finanziaria della UE; a quanto pare l’opinione è condivisa anche dalla maggioranza degli europei. Imperterrito “Cittadinanza Europea” distribuisce, di questi tempi, più di 200 milioni per pura propaganda; pretende (pagando d’altronde) che si divulghi quanto l’Europa abbia istituzioni democratiche e partecipative; quanto bene economico venga garantito dall’Unione ai suoi cittadini; e che questi ultimi si responsabilizzino comprendendo le buone ragioni delle politiche europee. Insomma, si danno danari per far raccontare fandonie in giro.

Almeno Agitprop, Comintern e Minculpop avevano il buon gusto di chiamarla propaganda politica. Come è noto, l’Europa non ha istituzioni democratiche. Le sue politiche rispondono a logiche finanziarie più che elettorali. Per di più, il fatto che siano state eliminate le frontiere (più apparentemente che altro) non significa che esista una cittadinanza federale europea. L’unica effettiva al momoneto è nazionale. Buoni propositi, ideali lontani e schemi burocratici sono il racconto ammansito ai popoli del nord europa e del sud europa. I primi non ci badano, tanto le cose non vanno tanto male. Per i secondi sono insopportabili perché sono il contrario della realtà. Il programma CE finanzia anche la memoria degli stermini, accollati nella memoria ufficiale a nazismo e stalinismo: non si ha nemmeno il coraggio di scrivere comunismo.Nei paesi baltici poi scompare anche il primo termine, particolarmente popolare in loco. D’altronde è nascostissimo il fatto che la Cgil abbandonò l’Fsm, erede dell’unione dei sindacati comunisti (Profintern) degli anni ’20, soltanto nel 1978, mentre la Cgt francese addirittura aspettò il 1995, quando già gli stessi sindacati russi ne erano usciti da quattro anni. Anche per questo il tasso di sindacalizzazione francese è uno dei più bassi d’Europa, non arrivando neanche al 10% Eppure il sindacato europeo (Ces) è composto in gran parte da francesi e francofoni, sia per la vicinanza geografica di Bruxelles, ma anche per l’aspetto non indifferente del finanziamento pubblico concesso dalla Commissione. Nel 1990, proprio mentre crollavano muri e sistemi sovietici, furono ben 486 i sindacati comunisti che si riunirono a Mosca, dimostrazione che le strutture burocratiche possono vivere di vita propria inerziale anche nell’indifferenza generale.

La Ces europea nacque nel 1973, unione della Libera Confederazione Sindacale anglosassone e della Conf. Internazionale dei Sindacati Liberi, cui aderirono La Cisl nel ’49 e la UIL nel ’52 come sostenitori del Piano Marshall, contrastato da Cgil e dai sindacati comunisti. Ancora oggi esiste all’Osce, il Tuac, organismo sindacale nato per il piano Marshall e poi proseguito non si sa perché, dubbio che riguarda anche il suo ente ospitante. C’è un Cnel europeo alla Commissione europea, il Cese. C’è il sindacato mondiale, Ituc, nato nel 2006 dalla fusione dei Liberi e dei più confessionali Conf. Mondiale del Lavoro. Tutte queste unioni non hanno cambiato una virgola nella visione di ciascuno. Il sindacato tedesco procede nei suoi comitati di sorveglianza formati da azionisti e rappresentanti dei lavoratori, con l’Ad ed i manager ad aspettare fuori dalla porta. Quello inglese va per “guidelines”, quello Usa, tipicamente etnico-aziendal corporativo, raccoglie i fondi per entrare nei Cda. Quello scandinavo offre consulenza per il poco non garantito dallo Stato. Le strutture sindacali internazionali, quanto mai necessarie in epoca di globalizzazione, non entrano troppo nei prioblemi, accontentandosi di vivere come sottocommissioni subalterne delle istituzioni che le ospitano e le finanziano. Pur costruite per ambiti sempre più grandi, sono tante scatole cinesi, ognuna indipendente dall’altra. Forse è per questo che parlano sempre di donne, ambiente e razzismo, nemmeno fossero Amnesty.

Per trovare qualcosa di più aderente alla realtà bisogna passare alle categorie ed ai comitati dei lavoratori delle multinazionali. Senza dare nell’occhio, la Cgil ha aderito a tutti i box cinesi, smentendo decenni di proclami, comizi, e racconti. Ora è passata alla critica dell’Europa, dopo averla santificata contro l’euroscetticismo del centrodestra. Ha passato il lustro della disoccupazione all’8% a raccontare ai sindacati del mondo, quanto fosse tragica la situazione italiana e quanto fossero malvagi gli altri sindacati. Ora che con 3 milioni di disoccupati, 2 di precari e 3 di cassintegrati, la rabbia si è sciolta in attesa del solito contrordine compagni. La sua pubblicistica racconta delle lettere gentili di Di Vittorio, segretario Cgil stalinista, alla figlia di Rinaldo Rigola, il cieco primo segretario della Cgdl, cui viene imputata, tra le righe, la colpa dello scioglimento del sindacato nel ’27. Invece la Cgdl finì nella spaccatura di due organismi dallo stesso nome, presieduti uno da Di Vittorio e l’altro da Buozzi. Rigola, che cercò sempre l’indipendenza sindacale dai partiti, fu un socialdemocratico che sostenne il corporativismo. Poche righe ci restano su di lui, maxime che «durante il fascismo accettò incarichi che lo compromisero con il regime». Gli incarichi si risolvono nell’Associazione Nazionale Problemi del lavoro e nella rivista omonima uscita dal ’27 al ‘’40. Uno dei pochi lavoratori arrivato ai vertici, Rigola guardava ai fatti, in un ‘epoca in cui nasceva il welfare italiano, come poi è stato mantenuto fino ad oggi. La sua attività diventa nella migliore delle ipotesi un baloccarsi di studi, assolta da un ipocrita condiscendenza, concessa per strizzare l’occhio a nuovi possibili alleati. Disonestamente si stravolgono fatti, storia e personaggi. Termini come Europa e sindacati perdono il loro significato quando di entrambi gli europei lavoratori hanno proprio bisogno.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:49