Tre storie di mala giustizia

Tre notizie, di quella cronaca che non fa mai “notizia”. La prima è la lettera-sfogo di un signore di 84 anni, una vicenda emblematica di come può funzionare, funziona la giustizia in Italia: miope, sorda al buon senso, tetragona nella sua farraginosità. E’ la storia di una vera e propria odissea. Questo signore viene invitato a comparire, in qualità di testimone, a un’udienza fissata per l’11 marzo 2013 presso la procura della Repubblica di Catanzaro. Fin qui, nulla di strano, si dirà, ma è meglio non essere frettolosi: è infatti “l’ottava della serie relativa a un processo riguardante il tentato furto di un telefonino del valore di una diecina di euro, avvenuto il 19 agosto 2009”.

Già qui si capisce che il gioco non vale la candela. “Per via epistolare ho rappresentato nel passato, sia alla procura della Repubblica di Catanzaro che al giudice incaricato, le mie considerazioni in merito alle difficoltà nonché all’inutilità della mia partecipazione alle udienze. Ma non ho mai ricevuto alcuna risposta. Vorrei comunque precisare che ho 84 anni aggravati da salute cagionevole (diabete, artrosi di vario tipo e altro), con conseguenti difficoltà e timore di affrontare da solo un viaggio dalla mia residenza di Roma”. Per viaggio, vitto e alloggio a Catanzaro, spiega questo signore, «dovrei affrontare, per ogni udienza, una spesa di 300/400 euro, che si verrebbe a raddoppiare in caso di accompagnamento, per me, indispensabile. Peraltro come testimone avrei poco o niente da dire, come risulta evidente dalla dinamica degli ormai lontani fatti. Dal tavolinetto del nostro ombrellone presso uno stabilimento balneare di Catanzaro lido venne trafugato, in nostra assenza, un cellulare della mia nipotina di 9 anni (prezzo di acquisto 16, dico sedici, euro).

Il ladruncolo venne immediatamente fermato da alcuni giovani bagnanti che gli sottrassero il telefonino e vennero a restituirlo a me. Da parte mia, data la modestia dell’evento, non venne presentata alcuna denuncia. Due carabinieri, nel corso della mattinata, mi contattarono sulla spiaggia per chiedermi informazioni circa il tipo di telefonino e il relativo valore. Sulla base di quanto sopra ho più volte cortesemente richiesto d voler esaminare la possibilità di esonerarmi dal partecipare alle udienze e/o in alternative, se proprio indispensabile, di prendere in considerazione altre soluzioni come ad esempio una mia formale risposta per iscritto a specifici quesiti o di farmi interrogare dietro procura presso il tribunale di Roma. Infine, da cittadino, buon padre di famiglia, considerata la forte sproporzione tra le spese sostenute dall’amministrazione giudiziaria nonché quelle a carico dei testimoni (io, ad esempio, ho già speso 160 euro di certificati medici) e il valore della refurtiva (peraltro restituitaci), ho chiesto se non fosse consigliabile cercare di trovare il modo di chiudere definitivamente il procedimento. Come dicevo, non ho mai ricevuto alcuna risposta.

Nonostante ciò, rimango in fiduciosa attesa di cortese risposta. Possibilmente prima della prossima udienza». Fin qui, la lettera-sfogo. E spontaneo sorge l’interrogativo: come è possibile? Come è possibile questo modo dissennato di amministrare la Giustizia? E sicuramente non solo a Catanzaro. Come è possibile che una simile sciocchezza si trascini dal 2009, cioè da quattro anni? Come è possibile che nessuno si sia reso conto dell’assurdità della vicenda, dei costi, umani ed economici, per una “bagattella” come un neppure riuscito furto di telefonino di pochi euro. E dal momento che gli interessati non hanno presentato denuncia, e dunque non lamentano un danno, perché li si continua a tormentare contro ogni logica e criterio di buon senso? Eppure è possibile, e siamo disposti a mettere la proverbiale mano sul fuoco che non solo a Catanzaro accadono storie del genere. La seconda “notizia” viene dal Veneto: “Abuso d’ufficio: il dottor I.T. depone dopo vent’anni”, riferisce un quotidiano locale. E poi: “Il dottor I.T. ieri mattina ha deposto per un’ora e mezza.

Il processo si sta celebrando dopo 20 anni e il primario di medicina, ora in pensione, ha raccontato tutta la sua sofferenza. Era il 1992 quando il dottor T. rivendicò il primariato della prima Divisione di medicina generale lasciato dal professor P. C., che il 28 agosto andò in pensione. Un anno dopo, nel maggio 1993, il pubblico ministero chiese il rinvio a giudizio per abuso d’ufficio di G. O., allora amministratore straordinario dell’Uls 21, e L. D., allora sovrintendente sanitario della stessa Uls”. È una vicenda di cui nulla sappiamo, e nulla ci importa sapere. Ci basta che questo signore abbia deposto in un processo che si sta celebrando dopo 20 (venti!) anni. E si può esser certi che non mancheranno “ragioni”, “spiegazioni”, “giustificazioni”. Ragioni, spiegazioni, giustificazioni di cui non ci importa il proverbiale e innocente fico secco. Perché dopo vent’anni è solo una vergogna, senza “se” e senza “ma”. Come vergogna, senza “se” e senza “ma” è la storia raccontata dal “Giornale di Sicilia; e siamo qui, alla terza “notizia”: “Lo stupro non ci fu.

Il fatto non sussiste, e due ex agenti della polizia ferroviaria non abusarono, nella casermetta della stazione centrale, di una giovane senza fissa dimora. La sentenza di assoluzione per Gianfranco G., 56 anni, e per Nicola R., di 54, arriva dopo due condanne a quattro anni, in primo e secondo grado, e l’annullamento con rinvio da parte della Cassazione…”. È una storia che comincia – pensate! – il 4 marzo del 2000, tredici anni fa! La ragazza accusa i due ex poliziotti di averle fatto violenza; nel 2009, nove anni dopo i presunti fatti, la condanna di primo grado; nel 2011, undici anni dopo i presunti fatti, la condanna in appello; il 19 luglio scorso la Cassazione annulla e rinvia. Importa nulla, qui, che i due siano stati riconosciuti innocenti; fossero stati ritenuti colpevoli, la sostanza non muta: tredici anni per una sentenza, e non è detto che la vicenda sia finita qui, dal momento che il Pubblico Ministero si è riservato di impugnare la decisione per un nuovo giudizio in Cassazione. Per ricapitolare: a Catanzaro un procedimento per il furto di un cellulare (restituito) e dove le persone offese non hanno presentato denuncia, va avanti da quattro anni. In Veneto, si celebra un processo dopo vent’anni che i fatti si sono verificati; a Palermo due ex agenti della Polfer accusati di stupro vengono assolti, ma dopo tredici anni. E si dirà che a frequentare con assiduità i palazzi di Giustizia, a parlarne con avvocati, magistrati, cancellieri, di storie analoghe o anche più gravi, se ne possono ricavare decine, centinaia; e che costituiscono la norma, non l’eccezione. Appunto. E’ questo lo scandalo: la “normalità” di questa quotidiana barbarie che si consuma in nome del “popolo italiano”.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:10