Marco Pannella e il “fattore G”

No, no, non è stata la nuova richiesta di condanna e/o di incrimanazione del Cav che ha messo sotto i riflettori la questione Giustizia. Ovvero, il “fattore G”. Forse, non sarà neppure la manifestazione del Pdl del 24 marzo - se non accompagnata, autocriticamente, da una proposta di riforma complessiva del pianeta giustizia, dallo stato dellle carceri, alla separzione delle carrriere, alla giustzia civile, alla responsabilità civile e alla stessa immunità parlamentare- a porre concretamente all'odg quello che nell'ultima campagna elettorale è sembrato il problema meno citato se non addirittura nascosto sotto il tappeto. Certo, l'accanimento giudiziario contro Berlusconi è tutto lì da vedere, da quasi venti anni, da quando,cioè,è disceso in campo. Ma, a scanso di equivoci, la superquestione di questo paese ha avuto in una e una sola persona l'alfiere nobile, coraggioso e profetico, che si chiama Marco Pannella.

Non solo, o non soltanto, perchè a lui, insieme ai socialisti, si deve uno storico referendum sulla magistratura,alla luce della tragica vicenda di Enzo Tortora -referendum stravinto e poi letteralmente e ignominiosamente fatto a pezzi dai politici, socialisti compresi-ma soprattutto perchè è rimasto da solo o quasi a mettere all'indice nazionale e internazionale la vera, indicibile vergogna della nostre carceri. Vox clamantis in deserto, quella dei radicali e di pochissimi altri, che non è servita a smuovere il macigno, sia coi governi Berlusconi che Monti, sia con l'allora ministro Alfano che col suo successore, peraltro avvocata di grido - entrambi tanto doviziosi di promesse quanto avari di risultati. Adesso si protesta fortemente contro la giustizia a orologeria, ma non è chi non veda come tali alti lai non risultino, ancora una volta, altro che un esercizio vocale e muscolore, senza costrutto. Intanto lo stato delle carceri grida al cielo la giustizia negata, in una con la dignità umana calpestata, sia quella dietro le sbarre che quella a loro custodia,e in un momento in cui,sia detto en passant, persino il procuratore capo di Milano, Bruti Liberati, ha invitato a non abusare della custodia cautelare, rimbeccato subito da certi suoi colleghi arcigni.

Il fatto è che l'emergenza carceri è né più né meno che l'emergenza giustizia di cui non s'è detta nessuna parola riformatrice in una campagna elettorale che, pure, doveva occuparsene. Grillo si è limitato a qualche cenno fuggevole, oltre a rifiutare sdegnosamente l'aggancio con quell'Ingroia che, insieme a Di Pietro e De Magistris, ha rappresentato in modo palmare una sorta di mistica trinità giustizialista, a sua volta e per fortuna, rifiutata dal popolo italiano. E chi paragona Grillo a Pannella sa di compiere un grossolano errore, sa perfettamente che a Grillo delle carceri e della giustizia non gliene può fregare di meno, posto che il suo obiettivo è la distruzione, innanzitutto del Pd di Bersani, e poi quella di tutti gli altri. Non ci sono contiguità e somiglianze con Pannella che con un numero di parlamentari assai esigui rispetto alla valanga grillina, ha saputo suscitare passioni civili e battaglie esaltanti non in nome e per contro della sfascio ma della proposta, delle riforme. Del resto, l'esclusione brutale dei radicali dalla lista del Pd segnala l'indifferenza di Bersani ai problemi di cui la pattuglia radicale di ieri e di sempre è stata vessilifera. Allo stesso tempo l'incapacità del governo del Cav a riformare la giustizia, magari cominciando dalla coda delle carceri piuttosto che dalla testa dei vari e inani Lodi, si è infranta sugli scogli e lì è rimasta,con i suoi rottami e i suoi naufraghi. Siamo un po’ tutti naufragati su quel fallimento, magistratura compresa, al quale nemmeno il pur volonteroso Capo dello stato nulla ha potuto proporre salvo esternare ripetutamente la propria indignazione. Piuttosto che niente, meglio piuttosto, come si dice. Siamo così arrivati all'ultima spiaggia. E poi?

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 10:48