Non chiederci  la parola

Di fronte alla prolungata afasia di Bersani, che dopo 24 ore dall’inizio dello spoglio ha finalmente trovato le parole per commentare i risultati elettorali, riesce particolarmente facile coltivare il passatempo nazionale preferito: quello che ci vede trasformarci in allenatori durante i Mondiali, in cardinali durante i Concistori e in presidenti della Repubblica quando c’è da affidare incarichi di governo. E così, di fronte al silenzio assordante dell’ex-premier in pectore, chiunque si è sentito intitolato a cimentarsi nel compito di sostituirlo, di parlare in sua vece, di interpretare il voto al suo posto e persino di immaginare possibili alleanze in nome suo. In questo caso, tuttavia, l’impressione è che non si tratti solo di un riflesso condizionato del nostro patrimonio genetico condiviso: che da tempo, da troppo tempo la voce del principale partito del centrosinistra e quella dei suoi esponenti siano sovrastati, soverchiati, annullati da altre voci.

Voci che spiegano cosa pensare, che suggeriscono cosa fare, che designano o destituiscono candidati, che si incaricano di rappresentare l’”Italia giusta” prima e meglio del partito che ne ha fatto il proprio slogan. Non c’è programma elettorale, intervista del segretario, voto parlamentare che possa illustrare la linea del centrosinistra meglio di quanto fanno queste voci, che da sempre sanno meglio di tutti quale sia la direzione lungo la quale procedere. Questo significa anche che provare a contraddirle è estremamente rischioso: ad esempio, tentare di deviare la corrente ormai stagnante dell’antiberlusconismo per riportare al centro le proposte programmatiche attira le accuse di connivenza; puntare a raggiungere l’autosufficienza parlamentare per assicurare la governabilità appare insieme un atto di tracotanza nei confronti dei padri nobili e di ostilità verso le altre componenti della grande famiglia progressista.

Chi ha scelto il centrosinistra probabilmente non è stato indotto a farlo dalle parole di Bersani. Ma non perché, come immagina tra sé e sé, resta immune dal virus del carisma personalistico del leader, del quale sarebbero invece irrimediabilmente succubi gli elettori di centrodestra; bensì perché, e in maniera altrettanto penetrante di quanto accade dalla parte opposta, i dettami della koiné progressista sono definiti e diffusi altrove che dal segretario o dagli esponenti principali del partito, sulle pagine dei quotidiani (e non parliamo degli organi politici), nelle aule dei tribunali, nelle trasmissioni televisive di approfondimento politico. Il risultato finale è quello osservabile, non da oggi, di un’eterodirezione che lascia a nessuno la parola, ma che addossa a tutti (gli altri) la responsabilità quando si tratta di raccoglierne i frutti. Alla conferenza stampa di commento dei risultati del voto, ieri, non avrebbe dovuto comparire Bersani, non lui solo doveva sedere sulla sedia chiodata: e nel silenzio che lo ha preceduto, a far bene attenzione, si potevano udire distintamente tante, troppe voci.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:45