
Già il magistrato (in aspettativa) e leader di Rivoluzione Civile, Antonio Ingroia, si era appropriato indebitamente del “Quarto Stato”, l’opera che Pellizza da Volpedo realizzò nel 1901, per piazzarlo nel simbolo del suo partito. Quella che è stata l’opera che più di tutte ha simboleggiato le lotte e le rivendicazioni dei lavoratori ridotta a sostituire un paio di manette nel logo di un movimento personale e personalistico. Ma ad Ingroia, evidentemente, non bastava impossessarsi del celebre dipinto ed ha fatto un altro passo, per così dire “canoro”. Ed allora eccolo ripreso dalle telecamere della testata giornalistica epressonline.net mentre intona “Bella ciao” insieme agli operai della Fiom di Pomigliano.
E mentre da’ vita ai gorgheggi, il candidato premier di Rivoluzione Civile non disdegna di autografare un libro (presumibilmente la sua ultima fatica letteraria): tute blu va bene, ma gli affari sono affari!Il volto dell’Ingroia lascia trasparire, con il sorriso soddisfatto, il gradimento (per la compagnia e per la melodia intonata (si fa per dire...) tipico di chi è in campagna elettorale: far vedere che si è contenti per incutere la medesima beatitudine in chi ti circonda.
Ci si chiederà: “Forse Ingroia non poteva cantare Bella Ciao?”. Indubbiamente sì, certo che poteva dar vita a quel coro. Il problema è invece che quella esibizione raccolta dagli obiettivi di Epressonline fa a cazzotti con il concetto di “terzietà” che è (o dovrebbe essere) alla base dell’attività di un qualsiasi togato, in aspettativa oppure no. Che canti pure il “guatemalteco per qualche giorno”, il leader di Rivoluzione Civile, ma ci faccia almeno una cortesia: converta quella richiesta di aspettativa in dimissioni irrevocabili. Qualcuno potrebbe anche definirla questione di decoro (e non solo istituzionale).
Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 10:44