
«Avete trascinato la città e la banca nel fango, avete spezzato i legami che le univano, ne avete annullato ogni possibilità di serena sopravvivenza. Neanche le devastazioni della seconda guerra mondiale avevano prodotto altrettanti danni alla prosperità e alla cultura della nostra comunità. Sì, mi auguro che non ci sia pietà». È un passo del tragicomico intervento di Mauro Aurigi all’ultima assemblea, quella del 25 gennaio scorso, quella in cui ha parlato anche Beppe Grillo. Ovviamente tutti i giornali hanno fatto pubblicità al partito dell’ex comico suddetto, ma pochi si sono soffermati sulle analisi tecniche di un ex dipendente come Aurigi che dal 1995, anno in cui se ne andò in pensione indignato, ha sempre bersagliato i vertici della banca senese.
Estendendo le colpe di quanto è accaduto anche ad altri oggi dimenticati protagonisti del casino, persone cui anzi fa quasi comodo che si prenda tutte le colpe il povero Mussari. Oggi per esempio nessuno sembra ricordare quale fu il peccato originale e l’inizio della fine per la banca: l’acquisizione, sponsorizzata dall’entourage di D’Alema della Banca 121, quella del Salento, che già all’epoca, fine anni 90, conteneva i primi titoli tossici che poi sono stati la disgrazia del Monte Paschi, i famigerati “For you” e “My way”. Prodotti spalmati su tutti i portafogli dei clienti, salvo doverne poi risarcire buona parte. Ecco come ricorda nel suo intervento quei tempi memorabili il buon Aurigi che inizia il proprio intervento citando Adam Smith a proposito delle “public company”, categoria cui appartiene oggi anche la banca dopo le trasformazioni imposte dalla legge Amato: «Queste società sono dirette senza controllo da soggetti che non impiegano il proprio denaro nell’impresa e che non possono quindi impegnarsi con la passione e l’accortezza che è naturale in chi rischia in proprio: esse vivono pertanto nella confusione e nella trascuratezza e sono destinate a poco onorevole fine». Una premonizione?
Poi la stoccata: «Adam Smith aveva proprio ragione: niente è cambiato, siamo ancora nella cultura dell’occulto! La stessa cultura che produsse all’inizio di questo secolo l’affare Banca 121, affare di valore assai inferiore a quello dell’Antonveneta, ma nel modo in cui fu realizzato parecchio più scandaloso. Il Monte col 12% era il maggior azionista del San Paolo dopo la Fondazione San Paolo. Per questo due suoi membri del cda sedevano nel cda del San Paolo. Ciò non evitò che tra le due banche si scatenasse una competizione fratricida al rialzo del prezzo della Banca 121, che a libro valeva 250 milioni di euro ma che in realtà valeva zero e forse molto meno, come certificarono i funzionari del Monte mandati a ispezionarla. Competizione che dagli iniziali 400 milioni offerti dal Monte, arrivò settimana dopo settimana e a botte di rilanci di 100 milioni per volta, fino a 1.100.000 di euro. Allora il San Paolo si ritirò dalla gara, ma il Monte, evidentemente non ancora soddisfatto, ci aggiunse di suo altri 150 milioni arrivando così alla cifra stratosferica di 1.250.000 milioni di euro (ma non potevamo immaginarci che quel record allucinante pochi anni dopo sarebbe stato stracciato con l’affare Antonveneta)».
Rispetto agli sponsor della operazione Banca 121 Aurigi, autore di un manifesto che nel 2003 riempì i muri di tutta Siena dichiarando «Massimo d’Alema persona non grata», lascia poco spazio all’immaginazione: «Come se non bastasse “tre brave persone della cui amicizia mi onoro”, come ebbe a dichiarare alla stampa Massimo D’Alema, ossia i principali azionisti della 121, Semeraro, Gorgoni e De Bustis, non paghi del lussuoso regalo avuto con lo scambio di azioni 121 con quelle Mps, entrano a vele spiegate i primi due nel cda del Monte, il terzo per sedersi sulla poltrona di direttore generale con tutta la sua corte. Insomma nella sostanza è come se la Banca 121 avesse comprato il Monte. I danni totali indiretti provocati dall’operazione sono incalcolabili (infatti non sono mai stati calcolati e la 121 fu incorporata: se gli errori del medico li copre la terra, quello dei finanzieri li copre la fusione)».
È bene soffermarsi su questa operazione, spiega al telefono Aurigi a L’opinione, perchè «oggi è facile buttare la colpa di tutto su Mussari e sull’operazione Antonveneta». Ma le cose, già dalla fine degli anni ’90 avevano preso una piega che non poteva che portare al disastro attuale. La verità è un po’ diversa da come viene venduta: in realtà la fondazione, manovrata dal Pds (Pci-Ds ecc.) nazionale con la complicità di parte di quello locale, specie quelli del versante ex Margherita, ha pian piano espropriato i senesi della banca. Pur continuando a tenerli tutti buoni con la “droga” dei finanziamenti a pioggia.
O per usare le parole dello stesso Aurigi in assemblea, «la pletora clientelare e servile che questa situazione ha fatto prosperare nelle istituzioni, nei mezzi d’informazione, nel panem et circenses delle Contrade e dello sport, ecc., ma questi si dissolveranno al sole, ora che il Grande Feudatario è stato abbattuto dal trono. Ma per tutti gli altri, in caso di accertamento di responsabilità diretta o per mancata vigilanza, ci auguriamo che siano colpiti anche i patrimoni personali a parziale, modesto l’indennizzo del futuro che avete scippato a questa comunità ed ai suoi figli». Della serie: “pietà l’e’ morta”, in quel di Siena.
Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 10:39