Conoscere Craxi, senza intermediari

Questo 19 gennaio, a Coviolo, frazione di Reggio Emilia si è radunata una folla dal numero, dato il contesto, non indifferente. Vecchi terroristi, antichi compagni e nomi celebri della teoria della liberazione dei lavoratori dai partiti dei tempi degli anni di piombo si sono accompagnati a tanti giovani dei centri sociali e dei NoTav. Ai drappi rossi, con stella, falce e martello comunisti, sono seguiti canti della resistenza come già visto alle esequie per via Rasella. I fondatori di Potere Operaio e delle Br, Oreste Scalzone e Renato Curcio erano lì, vivi e liberi, anche senza grazia presidenziale o perdono delle scorte, risposatisi con i freschi virgulti dell’ultima ondata rivoluzionaria, più giovane di 20 anni. Con altri ex brigatisti, Raffaele Fiore e Barbara Balzerani, hanno ascoltato l’omelia del collega Loris Paroli. L’occasione era l’estremo saluto all’ex Br Prospero Gallinari, il terrorista contadino, come lui stesso si definiva, morto 62enne per un infarto.

In 1000, celebri e meno, si sono serrati attorno all’uomo che (forse) uccise Aldo Moro. Peccato veniale, di fronte all’irriducibile forza rivoluzionaria del Prospero, mancata ai più celebri che sul finire degli ’80 si arresero. Forse per questo, quando la bara è uscita dalla camera ardente, istintivo è stato l’alzar dei pugni a rivendicare un’idea in fondo mai doma. Per molti giovani, la nostra storia recente, è passata dai remoti Togliatti, Nenni, Nitti e De Gasperi ad una attualità statica i cui nomi sono in voga oggi come lo erano negli anni di Piombo. Per i giovani, di destra o di sinistra, l’era di Piombo è un’età fanciullesca, un tempo di sogni, di giochi e di eroi come Che, Sandokan e Zorro. Sensazioni vissute anche dai giovani di fine ‘800 che nell’Italia finalmente unita trovarono solo meschinità, mentre sognavano le ardite missioni bombarole mazziniane, il coraggio garibaldino, il comporre a  20 anni l’inno nazionale per poi pro patria mori. I giovani d’oggi, commiserati ed esclusi, invidiano i loro coetanei ’70 che non blateravano da antisistema in comodi istituzionali centri sociali, ma combattevano armi in pugno. 

Acca Laurentia, P38, le battaglie a Pisa, Roma, Bologna e Padova, i morti neri e rossi appaiono loro concreti ideali vissuti e non sognati, cui i rari blitz dei black block assomigliano solo alla lontana. Così è grande l’entusiasmo per i luoghi, i simboli, gli avvenimenti di quel tempo sfortunato. Ed è inutile ricordare che era eteroguidato, dentro la guerra fredda, dalla lotta immane di grandi blocchi mondiali. L’Italia ’70 era povera, classista, impregnata da moralismi cattocomunisti, ma i giovani non ci credono, come non credevano quanto fosse contadina ed arretrata l’Italia degli anni ’30. Prospero (forse) uccise Moro, Bettino Craxi voleva salvarlo. Tanto entusiasmo per il 19 gennaio, 13° anniversario della scomparsa di Bettino, non c’è stato. Il primo ha più fan; triste, ma è un dato di fatto. Si sono registrati lamenti per il delitto politico ai danni del leader socialista, lampante nella lettura della sentenza Enimont ’97 della corte d’Appello di Milano e rimpianti per la sua epoca modernizzatrice, quando eravamo i primi. Ormai ogni vulgata ha pulito l’effigie di Bettino, riconosciuto capro espiatorio e l’accusa di ladrocinio si è spostata verso la politica tout court. Anche l’ultima tempesta scatenatasi indirettamente sui socialisti con il caso Lavitola è finito, col risultato prezioso di zittire per sempre la voce degli ex Psi presenti nel centrodx, tra le feste, chissà perché, anche dei Finetti e Critica Sociale. Tirato per la giacchetta da destra e da sinistra, Craxi è stato evocato tante volte senza però che fosse mai una cosa seria. Ormai si è smesso anche di cercare un riscatto nella toponomastica.  I magistrati regnano sempre sovrani, Mani Pulite non è stata rivista. L’uso politico della giustizia più che un’azione politica resta un titolo da convegno, come il premierato o le città metropolitane. Il finanziamento dei partiti, illegale o no, è sempre più ricco. 

Le modalità di svendita dell’Iri come l’abbandono di molti settori economici chiave non sono parte del dibattito politico; anzi, molti non danno più nemmeno chances alla nostra manifattura. I laici non fanno mea culpa per aver abbandonato il loro miglior esponente, mentre sventolano i ritratti di Ronald e Margaret e si lamentano del crescente fasciocomunismo. Il 10 gennaio la Uil ha proposto ai partiti in lotta elettorale una sua agenda di 5 punti: ridurre le tasse sul lavoro, azzerarle per chi assume, rivalutare l’importo delle pensioni, creare l’agenzia contro il lavoro nero, ridurre i costi di 11,6 miliardi della politica e riammodernare la pubblica amministrazione. Il 3° sindacato italiano, alle prese con continue elezioni aziendali, nelle medie e grandi imprese e nelle camere del lavoro di tutt’Italia resta l’ultima, unica grande organizzazione di massa laicosocialista, non esistendo, se non per vertici, partiti socialisti o gruppi riformisti. Uomini legati a Craxi ci saranno alle regionali del Lazio, a sinistra dopo l’esperienza dipietresca, l’ex Psdi Tortosa, a destra l’ex assessore Robilotta. C’erano craxiani anche nel governo Monti e nel governo precedente dove la 2 volte sottosegretario Boniver, parlamentare da 34 anni, combatteva la sua guerra alle rughe, poa cosa rispetto a quella vissuta dal Paese. 

Le istanze Uil non sono esclusiva difesa dei pur legittimi interessi dei lavoratori. Meno tasse, soprattutto se si assume, meno sprechi partitocratici, razionalità nell’organizzazione della macchina pubblica sono cose invocate dagli imprenditori grandi, piccoli ed autonomi. Meraviglierà ricordare che si tratta della prima battaglia della Lega di Bossi, prima ancora della discesa in campo. I grandi sindacati, seguono pedissequamente gli ex Pci; fluttuano con quelli contro cui scioperano. La Uil no; lucidamente cerca di salvare la produzione dalla burocrazia, dall’ambiente, dalla finanza, dalla giustizia. 

Un laico onesto tanto più fosse Giannino, di centrodx o Tp, non potrebbe che sostenerne la piattaforma, se non ci fossero ostativi i blocchi mentali che già isolarono i Bissolati che alla fine aveva i voti dei fascisti e l’odio dei compagni; o i Buozzi, ucciso dai destri su soffiata dei sinistri o i Craxi che salvò l’Italia dal pauperismo tra i fischi dei poveri. I giovani non possono capire cosa sia il socialismo che nel mondo vuole dire una cosa ed in Italia il suo contrario. Non possono capire cosa sia il riformismo, storicamente chiusosi con la belle epoque. Non sanno chi sia stato Craxi, se il protettore di Berlusconi e delle tv private, o un uomo sinistra e di potere del regime della Resistenza? Finisce che per i giovani Craxi fu, come ha scritto Panebianco, di destra. Né si può dare loro torto se una platea liberale di livello nel 2013 celebra Cavour, mentre a citare Bettino, ultimo eroe dell’onore nazionale, resta Storace.

Non è più tempo di bugie e omissioni o delle confusioni introdotte dai figli. Se il lavoro è escluso dai luoghi decisionali, e ne viene cacciato anche il capitale, non vi rientreranno se non insieme ed alleati. Ecco perché i giovani devono conoscere Craxi, da soli e senza vecchi intermediari interessati, senza fermarsi all’inutile rimpianto giudiziario, ne devono conoscere l’amore verso l’Italia che mai credette ingovernabile. A qualunque costo, anche con il debito pubblico, Craxi salvò l’Italia dai Gallinari. Oggi tocca a Uil e laici, senza blocchi, evitarle il perdurare di nuovi sonni della ragione.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:00