Marò, tutti gli errori della Farnesina

Il governo italiano e i legali indiani di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due fucilieri di Marina ostaggio da oltre undici mesi in India, si sono dichiarati soddisfatti della recente sentenza della Corte Suprema indiana che ha sì dichiarato giurisdizionalmente incompetente il geograficamente piccolo stato federale del Kerala, ma ha avocato alla giurisdizione centrale la competenza del caso. Di conseguenza l’Alta Corte ha respinto platealmente e senza mezzi termini la rivendicazione italiana di giurisdizione, il cui riconoscimento era ottimisticamente, ma erroneamente, atteso dopo la concessione ai due militari ostaggio di un permesso speciale natalizio da trascorrere in Italia, sbandierato come un megagalattico successo della nostra diplomazia e suggellato dagli onori concessi persino dalla più Alta autorità dello Stato.

In realtà, più che dagli indiani, questa strana ed opinabile sentenza è stata costruita dall’Italia che, nonostante la formale rivendicazione di giurisdizione, ha sin dall’inizio rinunziato persino ad ogni forma di rivendicazione di sovranità, riconoscendo esclusiva competenza del caso solo e soltanto agli organi giurisdizionali indiani, persino a quelli di uno stato federale quale il Kerala, che non ha non ha personalità giuridica internazionale, nel senso che non esiste come stato sovrano riconosciuto. È infatti assolutamente opinabile che uno Stato federato possa in qualche modo interagire sul piano giuridico con uno Stato sovrano, ipotesi suffragata dalla realtà delle cose. Il Kerala come ad esempio il Texas, non hanno rappresentanze diplomatiche in Italia né tantomeno loro funzionari accreditati.

Qualora l’Italia avesse agito da Stato sovrano e non da evanescente entità di “basso profilo”, avrebbe dovuto da subito adire a competenti organi internazionali in ambito delle Nazioni Unite, delle Organizzazioni dei Trattati marittimi, della stessa Nato, che all’articolo 4 del suo Statuto prevede esplicitamente il supporto politico ad un suo membro oggetto di malversazione da parte di uno o più Stati terzi. Pur essendo il nostro Gruppo facebook “Riportiamo a casa i due militari prigionieri” in gran parte formato da persone di formazione militare, non ha mai fatto formale riferimento alla clausola dell’articolo 5 dello Statuto della Nato, quello che prevede il sostegno militare diretto e concreto in caso di aggressione armata da parte di uno Stato terzo, come si è configurata a conseguenza del fatto che il rientro in un porto indiano della Enrica Lexie, il mercantile su cui erano impiegato a difesa il nucleo di protezione comandato da Latorre, è avvenuto sotto intimidazione di unità navali e di veicoli militari. Di fatto, quindi una vera “coercizione sotto la minaccia delle armi” che qualsiasi Stato configurerebbe come atto ostile ma a nostro avviso la questione deve, come credo qualsiasi persona di buon senso, rimanere in ambito di disputa giuridica, anche se essa avrebbe richiesto un approccio diverso dal cosiddetto “basso profilo”. Un atteggiamento che di fatto si è rivelato come una supina acquiescenza persino nei confronti delle plateali manipolazioni degli inquirenti indiani, per non parlare di quelle mediatiche.

Che fare allora nella verosimile prospettiva che degli ulteriori sviluppi dovrà farsi carico un governo diverso da quello attualmente presieduto da un ineffabile Mario Monti, peraltro silenzioso se non muto durante l’intera vicenda? La prima cosa che chiediamo al governo prossimo venturo è quella di avere un sussulto di rivendicazione di sovranità, facendo ricorso ai competenti organi internazionale e sovranazionali e non più affidarsi esclusivamente alla “pietosa carità” della giurisdizione indiana, nell’approccio e nel comportamento di fatto riconosciuta e subita sin dall’inizio.

Inoltre, siccome il danno è stato già prodotto, cominciare a rivendicare un nostro ruolo come Stato sovrano, ad esempio richiedendo che la speciale Corte da costituire ad hoc sia in realtà una Commissione Internazionale mista d’inchiesta in cui cominciare a fare valere i Diritti Umani, ancor prima che quelli usuali della difesa in un qualsivoglia Stato di Diritto, quale l’India sta dimostrando di non essere e pertinacemente rifiutarsi di essere. Un importante documento di riferimento è l’analisi tecnica di Luigi Di Stefano, proprio in questo frangente aggiornata. Stranamente è l’unico documento valido a difesa, proprio perché valido fatto oggetto di strumentali attacchi volti a screditare l’Autore e a sminuirne la sua portata.

Come lo stesso Luigi Di Stefano fa notare, non è l’unico “genio” in grado di sviluppare un lavoro analogo; ad esempio gli Ufficiali dei Carabinieri inviati dal nostro governo con la consegna tassativa di farsi prendere per i fondelli dagli indiani del Kerala avrebbero potuto svolgere in maniera adeguata ed encomiabile il ruolo di periti di parte, ovviamente in contrasto con il “basso profilo” di un governo che ha dimostrato di essere, almeno nella vicenda contingente, iperbolicamente di basso profilo. E non solo, l’Addetto Militare per la Difesa, peraltro un Ufficiale Generale della marina Militare, avrebbe potuto e dovuto pretendere un sequestro formale delle armi dei due marò ed un dissequestro una volta effettuati gli accertamenti da parte indiana. Nemmeno questo è avvenuto e forse siamo l’unico Stato al mondo della Storia moderna che ha consegnato armi militari in dotazione a tutti i Paesi della Nato, senza pretendere le dovute e necessarie garanzie dallo stato richiedente che peraltro non fa parte dell’Alleanza Atlantica.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:13