
Ultimo numero quello del 31 dicembre del quotidiano “ Pubblico” ad appena tre mesi dalla sua prima uscita. Il giornale di sinistra lanciato da Luca Telese non sarà più nelle edicole. «L’incredibile impresa» non è riuscita. Appena 4mila copie vendute, solo 700mila euro investiti per fondare il giornale, tanti debiti. Un “giornalicidio” lo hanno definito i redattori nella conferenza stampa dell’ultimo giorno di lavoro. Non cesserà, invece, le pubblicazioni il Manifesto che inizia una «nuova storia, con una nuova cooperativa», nata prima di Natale.
Addio alla carta stampata? Sembra questa, per molte iniziative editoriali, la strada che porta a salvare settimanali e quotidiani italiani e internazionali. L’operazione portata avanti dalla storica rivista americana “Newsweek”, concorrente di Time, diretta da Tina Brown ha aperto profonde riflessioni. In Italia il ricorso al sistema online si sta allargando. Gli ultimi due esempi vengono dagli ambienti di destra. “Il Secolo d’Italia”, il giornale del Msi fondato negli anni Cinquanta dal sen. Franz Turchi, ha lasciato la carta che costa sempre di più e si distribuisce con grandi difficoltà per approdare sul web. Direttamente on line è stata la ripresa delle pubblicazioni del “Giornale d’Italia”, la gloriosa testata di Bergamini, D’Annunzio e negli anni Ottanta di Alberto Giovannini. Uno sforzo editoriale della Destra di Francesco Storace per essere presente sulla scena politico-mediatica, altrimenti ignorata.
In precedenza avevano scelto la stessa strada il quotidiano “Europa” degli ex Margherita con il duo Stefano Menichini e Federico Orlando e il settimanale “La Discussione” che si richiama ai valori di De Gasperi. A sinistra torna dal 7 gennaio “Liberazione, giornale comunista” con cadenza quotidiana dal lunedì al venerdi solo online. L’edizione cartacea ha chiuso per i costi ritenuti insostenibili. Il direttore Dino Greco e il segretario del partito Paolo Ferrero hanno lanciato un appello ai lettori-militanti a sottoscrivere i necessari abbonamenti per, scrivono, «rimettere in piedi un pezzo di stampa comunista, in un mondo capovolto e reso orbo dal pensiero unico».
Le motivazioni di Newsweek per la scelta online sono spiegate nell’ultimo numero in edicola che porta la data del 31 dicembre, una foto in bianco e nero di Manhattan. Quando è nata la rivista, il 17 febbraio 1933, costava 10 centesimi, quindi quasi 80 anni di vita durante i quali ha raccontato tutti mi cambiamenti intervenuti negli Usa e nel mondo. Crollata la pubblicità dell’80%, ridotte le copie vendute a circa un milione e mezzo, le perdite hanno raggiunto i 40 milioni di dollari. Addio al cartaceo e alla ricerca di “nuovi territori inesplorati” con il web.
La profonda crisi dell’editoria ha coinvolto anche l’impero dell’australiano Murdoch. Lo “squalo”, come viene definito il multimiliardario tycoon dell’editoria internazionale, ha preso una drastica decisione di fronte alle perdite di 2,2 miliardi di dollari del suo gruppo: separare all’interno di NewCorp, entro giugno 2013, le attività editoriali in perdita da quelle più redditizie derivanti da tv, cinema e film.
Dopo la chiusura del “News of the World” a causa degli scandali inglesi ha cessato l’attività anche il quotidiano “Daily” che aveva intrapreso la strada dell’online e dello sbarco su iPad. Trenta milioni di dollari di perdita erano troppi anche per Rupert Murdoch, al quale non resta che rilanciare i giornali tradizionali come il “Wall Street Journal”, il londinese “Times”, il “New York Post”.
Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:16