Rai, la rivoluzione digitale parte dal Tg2

Piena digitalizzazione di mezzi, montaggio, messa in onda, diffusione. Parte la sfida del Telegiornale, dopo 3 anni di gestazione, per rendere la testata concorrenziale sul mercato dell’informazione digitale. Se tutto andrà bene lo seguiranno anche il Tg1 e il Tg3. La Rai, comunque, arriva ultima. Ha un parco tecnologico obsoleto, metodi di ripresa e montaggio vecchi. Manca una visione d’assieme, un piano d’investimenti che faccia recuperare all’azienda di viale Mazzini il terreno perduto. L’esperimento parte, comunque, con tanti dubbi, tante perplessità. Anche dal punto di vista contrattuali, con cambiamento di mansioni e incertezze di posizioni. I sindacati dei dipendenti anche a seguito dell’andamento negativo delle trattative per il rinnovo del contratto si stanno orientando ad effettuare un primo sciopero il 9 gennaio, prima della presentazione da parte del direttore generale al Cda del piano industriale, che conterrà tagli di vasta portata per rimettere il bilancio in gareggiata (il canone è stato aumentato di un euro e mezzo).

Una rivoluzione quella che parte al Tg2? Il superamento della riforma del 1975? C’è grande fermento nella palazzina di Saxa Rubra, completamente trasformata. Quello che cambia subito è il modello di lavoro. Siamo, però, all’interno del meccanismo redazionale in cui le vecchie divisioni tra giornalisti, tecnici, segreterie verranno modificate per «rendere un’offerta al pubblico pluralista, più tempestiva». Cambia la linea editoriale? In cosa il nuovo Tg2 si differenzia dagli altri telegiornali? La struttura organizzativa della Rai è rimasta ferma alla tripartizione delle tre aree culturali e politiche legate al mondo cattolico, a quello socialista-laico e a quello della sinistra. Non sembra che da questo punto di vista ci siano novità. E per cambiare occorrono anche investimenti che la Rai in deficit non ha. Il processo a cui ha lavorato per mesi il direttore Marcello Masi ha avuto un’accelerazione con l’arrivo, sei mesi fa, del manager Wind, Luigi Gubitosi, come direttore generale che si è accorto delle obsolete strutture tecnologiche dei mezzi Rai.

L’azienda di viale Mazzini era in pratica ferma dall’ultima spallata data dal direttore della Tgr, Piero Vigorelli, con il potenziamento dei mezzi per le sedi regionali. Quali nuovi scenari si apriranno per la Rai con la digitalizzazione del Tg2? Per ora si dovrebbe snellire il lavoro redazionale, avere minore gap tra realizzazione dei servizi e la trasmissione, utilizzare una molteplicità di fonti tra cui tablet e Internet. Una volta andavano in onda solo immagini prodotte dai dipendenti Rai o acquistate. Domani il campo è aperto. I giornalisti non più sul territorio ma nella loro postazione di lavoro (scrivania con tanti monitor) per scegliere cosa pre-montare grazie anche ai nuovi microfoni ad hoc e all’accesso individuale al nuovo archivio (che per ora non c’è) dove dovrebbero confluire le immagini dello sterminato archivio Rai e quelle provenienti da altre fonti, anche straniere (Evelina, tv concorrenti, Internet). La verità è che la Rai arriva tardi nell’utilizzo dei mezzi moderni che offre il web. Basta visitare uno qualsiasi dei corridoi di Saxa Rubra per rendersi conto dello spreco e di quanta “archeologia tecnologica” è buttata per terra con pile di migliaia e migliaia di cassette, non utilizzate e non archiviate. Sarà possibile un salto culturale e rimettersi in gioco? In Rai i giornalisti ormai sono quasi tutti generali. I dirigenti quasi tutti alle posizioni apicali. Rainews 24, che ha incorporato Televideo e Rai international, continua a fare parrocchia a parte. Non ci sono sinergie. E le sedi regionali, che costano molto, che fine faranno?

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:03