
Sabato scorso, a guardare il video che immortalava la Digos “prelevare” Alessandro Sallusti dalla redazione del Giornale, di certo qualcuno avrà esultato. Ci immaginiamo, ad esempio, che a Roma, in Via Valadier 42 (sede del Fatto Quotidiano) Travaglio e Barbacetto abbiano dato vita ad un trenino in stile carioca mentre, magari, Bruno Tinti era al telefono con il «giudice innominato ed innominabile» (quello non citato nell’articolo alla base di tutta questa vergognosa circostanza e che ci si guarda bene dal menzionare in questa sede) ed insieme rievocavano le tappe di questo indegno (almeno per una democrazia) percorso giudiziario. E chissà cosa avranno pensato, guardando quel filmato, quegli “intellettualmente pezzenti” che si sono affannati, nei giorni scorsi, a dissertare più sulle caratteristiche dell’abitazione dell’onorevole Santanché (laddove, cioè, è destinato a scontare la pena Sallusti) anziché porsi il vero, inquietante quesito: i 14 mesi di detenzione comminati a Sallusti costituiscono una pena giusta per un omesso controllo? O, ancora, si è forse in presenza di una sorta di vendetta nei confronti del direttore della testata di Paolo Berlusconi?
Ancora. Ci permettiamo di chiedere l’autorevole parere, su questa vicenda, di tutti quei “gentiluomini” che, fino a qualche tempo fa, si dilettavano a dimostrare imbavagliati a favore della libertà di stampa, di quelli che venivano definiti “popolo viola” o di quelli che avevano fatto del giallo post-it quasi una ragione di vita. Stendiamo un pietoso velo di silenzio poi sull’assenza (sotto tutti i punti di vista) della Fnsi e dell’Ordine dei giornalisti. Di tangibile si hanno, purtroppo, anche giudizi come quello di quel collaboratore di Repubblica ha fatto sapere via twitter che per lui «possono pure perdere le chiavi di quella cella». Ma che volete, quel giornalista è “di destra” e per lui tutte le pippe sulla libertà di stampa e di espressione evidentemente non valgono.
La questione collegata all’arresto di Sallusti è invece più preoccupante e va ben al di là della mera vicenda giudiziaria del direttore del quotidiano di via Negri. Per dirla con Paolo Guzzanti, «sarebbe una cosa utile se tutti i cittadini e tutti i giornalisti prendessero atto che sabato non è stata violata la sede del Giornale, ma tutte le redazioni italiane, tutti i luoghi in cui si fa informazione e commento, in cui si suona la corda tesa della discussione e della lite. Se qualcuno ancora non capisce che questo è il tema, questo l’oltraggio, che possiamo dire? Peggio per lui».
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:11