Renzi e Meloni. Per ora, meglio Monti

La sinistra italiana gioisce per i risultati ottenuti dalle primarie. In effetti non si può negare che, finalmente, il dibattito politico ha scosso l’opinione pubblica, richiamando una moltitudine di scoraggiati e senza speranza a riflettere sul fatto che oltre ai Berlusconi, Bersani, Fini, Casini, Di Pietro, esistono anche i partiti e un dibattito interno con differenti punti di vista e opinioni. Bene! Sicuramente bene per il richiamo alla partecipazione attiva e il contrasto all’astensionismo (oltre il 50% nelle ultime regionali siciliane). Ma, cosa dire del messaggio politico proposto dai principali protagonisti? Sul finire del 2010 lanciai, proprio da queste pagine, un accorato appello alla necessità di un «cambio generazionale». Per evitare e andare contro alla corsa al protagonismo, agli interessi di parte, al business politico personalizzato (cosa che immancabilmente è emersa in ogni sua componente), allora scrissi: «Come mi piacerebbe vedere alle prossime elezioni Matteo Renzi e Giorgia Meloni competere nella prossima contrapposizione elettorale». Dopo due anni, forse, si potrebbe verificare questa eventualità. Renzi il “rottamatore”; colui che oltre che al ricambio generazionale in ambito dirigenza dei Ds, ha aperto indistintamente a tutti coloro che hanno voglia di cambiamento e di pulizia interna. Financo Berlusconi lo ha definito come l’uomo che può finalmente aprire ad una reale “socialdemocrazia”, mentre ,secondo Roberto Reggi, è «l’unico soggetto in grado di allargare la platea degli elettori in maniera molto significativa, perché dà risposte concrete ai problemi delle persone». E la Meloni? Nata e cresciuta alla scuola della Garbatella, donna di indubbia cultura e vissuta a costante contatto con la gioventù italiana. Chi meglio di lei potrebbe interpretare il pensiero politico del centrodestra italiano post-Berlusconi? Anche lei, come Renzi, a mio giudizio purtroppo, schierata contro un governo Monti-Bis. 

Certamente dietro questi due innovativi personaggi esiste l’eventualità, molto realistica, che i candidati premier del nostro sistema bipolare possano essere Berlusconi e Bersani. Beh, in questo caso, non credo che ci siano dubbi sulla possibilità di cambiare il sistema; anzi, con l’inventiva e lo charme politico che manifestano entrambi c’è da aspettarsi solo un consolidamento dello status quo, fondato su quella voglia di protagonismo che ha portato l’Italia sul baratro finanziario e al declino di credibilità a livello internazionale. Ma, anche nel caso di vittoria di uno dei due tra la Meloni e Renzi, quali speranze di riuscita avrebbe un loro governo? Entrambi, infatti, continuano a enfatizzare, a stigmatizzare, a rilanciare problematiche interne quanto mai veritiere e reali (produttività, lavoro, welfare, crescita, ecc.), ma sicuramente lontane dal contesto internazionale in cui l’Italia è immersa e di cui non ne potremo “mai” fare a meno. Cambiamenti a livello internazionale ne sono accaduti tanti, forse troppi, in questi ultimi tre anni. Dalla crisi finanziaria, alle rivoluzioni “arabe”. In tutto questo l’economia, per ragioni legate al mercato mondiale e le relative interazioni finanziarie, si è imposta in modo primario e prioritario, affermandosi in molti casi in maniera drammatica (Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna, Italia, ma anche Giappone e, ultimi non a caso, gli Usa) e imponendo nuove regole del gioco. Spesso hanno interagito a livello immediato sul sociale, ma che ancor più spesso hanno generato “turbolenze” politiche internazionali con sviluppi in contesti che esulano dal semplice scenario nazionale. 

In Mediterraneo, in particolare, quello che era l’asse prioritario Atlantico, Usa-Europa, che sino ad ieri ha dettato le regole della finanza e dell’economia a livello mondiale, oggi appare più un rapporto bilaterale Usa-Gran Bretagna, per l’asse finanziario, e Usa-Francia per la diplomazia e la sicurezza internazionale, mentre nel settore economico l’Europa, malgrado i differenti avvisi, rappresenta l’unico, se non l’ultimo, bastione di sicurezza per contrastare sia le deficienze strutturali manifestate da alcune nazioni, incluso l’Italia, ma soprattutto la crisi internazionale e la recessione in atto, e attuare politiche congiunte di crescita economica. La storia di questi giorni insegna che, senza l’Europa, Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia sarebbero scomparse dallo scenario economico-commerciale internazionale. Tutto questo è andato ad inficiare la considerazione e il peso diplomatico dell’Italia. La Libia, l’Iraq, le rivoluzioni arabe, l’Afghanistan, il caso India, la drammatica situazione in Siria, il giudizio sia di Obama che di Romney nelle elezioni americani, sono tutte evidenze della caduta di considerazione che il mondo intero esprime nei confronti dell’Italia. Se non fosse per la presenza dei nostri contingenti militari in alcune di queste aree, l’Italia non sarebbe neanche più menzionata come attore di fatti internazionali. Monti, con la sua politica di governo, ha ridato credibilità all’Italia, innanzitutto in ambito Ue; cosa fondamentale perché ad essa comunque è legato il nostro futuro. Il carisma e la riconosciuta professionalità del professore stanno servendo, passo dopo passo, a ridare dignità al nome dell’Italia nel contesto internazionale. A prescindere dalle prossime elezioni, chi mai potrà assicurare all’Europa gli impegni cui dobbiamo sottostare e, di conseguenza, riguadagnarsi il posto a livello internazionale cui Monti ci sta portando? Non credo che per il prossimo futuro ci possa essere una guida di governo diversa da Monti. Per ora, anche i due “innovatori” non ne fanno cenno, ma dovendo a breve affrontare la stesura di un programma di governo da pubblicizzare in campagna elettorale, chiunque sarà chiamato a rappresentare la propria coalizione si renderà conto che se veramente vorranno cambiare la drammatica e sconfortante situazione politica e istituzionale della seconda Repubblica, dovranno affrontare e proporre modifiche sostanziali alla nostra Costituzione.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:54