Cinque luoghi comuni che piacciono al Pd

“Le primarie? Un bagno di democrazia”. Certo. Ma i votanti sono stati poco meno del 2009. Un problema di partecipazione c’è stato e non può essere nascosto sotto il tappeto della propaganda. Ai seggi democratici si è presentato un discreto numero di persone. Nessun incremento, nè tantomeno un boom. Le cause sono tante: astensionismo, insoddisfazione, e regole macchinose che hanno scoraggiato alcuni e sbarrato la strada ad altri.

“Nessuna irregolarità, è stato un voto sereno”. È vero, le votazioni sono andate avanti senza problemi, eccezion fatta per resse che create in alcuni seggi, emblematica la fila di due ore sostenuta da uno spazientito Matteo Renzi. Nella fase di scrutinio, però, qualcosa è andato storto. E parecchio. Non è normale che ad un certo punto i dati abbiano smesso di essere aggiornati a quota 3990 seggi su oltre 9.000. In ballo decine di migliaia di voti, città, regioni e percentuali. Il tutto oscurato e sospeso, nell’attesa di chiarimenti “ufficiosi” giunti con mostruoso ritardo. Perché?

“Ha stravinto Bersani”. Vero, si è imposto in quasi tutti i capoluoghi di regione (Perugia e Firenze escluse), ha conquistato il Sud, tenendo le roccaforti del centro. Peccato non si possa parlare di vittoria schiacciante davanti ad un competitor che, senza appoggi della nomenclatura piadina, è arrivato a sfiorare il 40%, ponendo una serie di questioni politiche per il futuro.

“Eh, ma Renzi ha fatto il boom”. Renzi è indietro ed è il primo a sapere che al ballottaggio sarà durissima colmare il gap che lo separa da Bersani. Perché i voti di Vendola sono pronti a confluire in massa nel serbatoio del segretario, così come parte di quelli di Puppato e Tabacci. Il sindaco rottmatore ha vinto in Toscana, è andato forte in Emilia Romagna, ha sorpreso nel Nord per poi sprofondare nel Mezzogiorno d’Italia. Le carenze sono molte (e note), il risultato è importante. Parliamo di un outsider che in pochi, ai piani alti del Pd, hanno sostenuto o anche solo tollerato.

“Il Pd è più forte grazie a queste primarie”. L’affermazione, recitata a memoria dai dirigenti dem, è quantomeno discutibile. Il partito rischia infatti una spaccatura netta, quasi bipolare. Da una parte il fronte bersagliano: vertici nazionali e ramificazioni locali, tanto apparato e schiere di militanti, quasi tutti fedeli alla linea di Pigi. Dall’altra parte però, si ingrossano le fila della minoranza renziana che, al netto delle truppe cammellate, incarna, da oggi, una fetta importante del Pd. Minoranza snobbata e non rappresentata dal gruppo dirigente. Uno scollamento tra rappresentati e base elettorale che non può non destare qualche perplessità.

Segreti di Pulcinella o semplici dichiarazioni buone per ogni evenienza? Poco importa. Il dato chiaro è che le primarie hanno dato una boccata d’ossigeno decisiva al centrosinistra, rivelandosi antidoto (non il solo) per combattere l’antipolitica. Checché ne dica Grillo, le consultazioni hanno riacceso una fiammella di entusiasmo tra i cittadini. Inglobando pure toni trionfalistici e professioni di fede retorica che abbiamo passato in rassegna. Ma i luoghi comuni piacciono. E le mezze stagioni no, non ci sono più.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:04