Chi ha paura del world wide web?

Internet, i minori e il web-Babau. Davvero la rete è qualcosa dalla quale le nuove generazioni devono essere protette, difese, tutelate? Se n’è discusso al forum nazionale Difendiamo i bambini, approdato all’auditorium Unicef di Roma con un parterre di esperti, giornalisti, educatori, genitori, blogger e funzionari della Polizia di Stato. Tema della conferenza: Bimbo 2.0, essere adulti domani crescendo con i media di oggi. 

Nonostante in Italia il fenomeno Internet stia progressivamente passando dalla sfera del nuovo a quella del consuetudinario, è ancora incredibilmente difficile far passare il messaggio che le potenzialità e le opportunità che offre, superino di gran lunga tutti i rischi e i pericoli che possono ingenerare. Eppure senza questo si rischia di non capire che cosa sia la rete, che cosa siano i nuovi media, i social network, e si rischia di restare in un limbo di paure ingiustificate, in un eterno clima di caccia alle streghe.

Il web ha abbattuto confini geografici, linguistici e culturali. Ha messo a disposizione informazioni, notizie, ma anche beni e servizi che prima sarebbero stati pressoché irraggiungibili. Per questo le nuove generazioni non dovrebbero essere considerate in pericolo, ma invidiate per la loro incredibile fortuna. Si accostano ad un web ormai tecnologicamente e culturalmente maturo. Non sono più pioniere della rete, ma possono sfruttarne al meglio le potenzialità. Possono costruire e rafforzare la propria identità personale, culturale e nazionale confrontandola quotidianamente con quella di milioni di utenti sparsi in giro per il mondo. Hanno un intero pianeta a portata di clic.  

Certamente, la rete non ha trasformato il mondo in un grande parco dei divertimenti. Ma se il mondo reale non è un parco a tema, allo stesso modo non si deve confondere la rete con un gigantesco videogame. È facile dare la colpa di quel che non funziona al mezzo utilizzato, anziché a chi lo utilizza, e soprattutto al come. Lo si è visto anche a margine del tragico suicidio di un adolescente romano a seguito (forse, dal momento che le notizie in proposito sono ancora poche e confuse) delle vessazioni subite anche tramite Facebook. Per i giornali è stato un gioco da ragazzi dare la colpa al “web assassino”, piuttosto che interrogarsi sulle ragioni del gesto. Meglio puntare il dito contro la rete che plagia le menti e insidia la gioventù, piuttosto che tentare di identificare e perseguire chi ne fa magari un uso sbagliato, aberrante e indiscriminato.  

Quando usciamo in strada non abbiamo paura di ritrovarci all’improvviso in una jungla. È solo la nostra città. La conosciamo bene, ci viviamo da anni, magari ci siamo anche nati e, chissà?, forse è anche la stessa città in cui sono nati e vissuti i nostri genitori e i nostri nonni. Nonostante questo ci premuriamo sempre di chiudere la porta a chiave, di guardare a destra e a sinistra prima di attraversare la strada, di non dare confidenza agli sconosciuti, di non mettere in piazza i nostri affari e la nostra vita privata. Ci basta questo per sentirci tranquilli. Allo stesso modo, occorrerebbe approciarsi al web senza considerarlo qualcosa di finto, posticcio e a sé stante, ma comprendendo che si tratta a tutti gli effetti di una vera e propria proiezione digitale della realtà. 

Nessuno girerebbe mai per strada senza pantaloni. Allo stesso servirebbe l’accortezza di non esporsi troppo su Internet e sui social network. Nessuno affiderebbe le chiavi di casa al primo che passa. La stessa cura dovrebbe essere impiegata a beneficio dei dati personali che si mettono on-line. Trasmettere questi semplici principi a bambini e ragazzi è fondamentale quanto insegnare loro a non accettare caramelle dagli estranei. Sul web, così come nella vita reale, le regole sono le stesse: è esattamente lo stesso sport, cambia solamente il campo da gioco.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:59