
Se Pierluigi Bersani sostiene che il Pd farà le barricate se la riforma elettorale non prevede un premio al primo partito, non bisogna precipitare subito il nostro giudizio ed ergerci a paladini della difesa del bene comune. E se Casini sostiene che, come lui, molti del Pd pensano con responsabilità al Monti-bis, anche questa posizione va esaminata in una logica complessiva.
Ormai – da diciotto anni – siamo abituati a conoscere la sera dello spoglio delle elezioni chi ha vinto le elezioni e chi guiderà il governo. È stata la riforma che ha dilaniato per anni la storia del nostro Paese, come se tutto il problema della nostra economia ruotasse intorno al sistema elettorale e a questioni di leadership.
Ci siamo resi conto – dal 1994 – che siamo più o meno in una palude, con un debito pubblico a livelli inaccettabili e con un rinnovato aumento del potere economico delle banche. Eppure il centrodestra, che ha governato per più anni e con vari disastri, e il centrosinistra, per minor tempo e con tutte le sue ambiguità, non sono stati in grado di farci uscire dall’emergenza. Con un conto più salato da pagare, viste le decurtazioni degli stipendi, l’aumento delle tasse, l’aumento della disoccupazione e uno spread che non si raffredda.
Allora è questione di leadership o di comportamenti individuali? Ecco il punto. Ammesso che si cambi la legge elettorale (le rinnovate proposte di Giovanni Sartori sono finite nel nulla, eppure anche lui è un fior di professore), ammesso che si sappia la sera dello spoglio chi ha vinto e con quale percentuale, il giorno dopo, il cittadino che va alla Asl o al Comune per una pratica, riceverà immediatamente una soluzione ai suoi problemi? Riceverà, a stretto giro di posta, la notizia che la sua pratica, la sua domanda, sono state discusse e approvate o respinte (con le dovute motivazioni)? Oppure, il malato riceverà la notizia che potrà recarsi dopo qualche giorno a fare le analisi o la radiografia o l’ecografia o potrà essere ricoverato? Avremo il rispetto dei nostri tempi oppure continueranno le stesse babeliche attese a causa di un’elefantiasi burocratica che si trincera dietro un’alzata di spalle e con la scusa che non ce la si fa? E gli studenti potranno avere nuovi docenti (ci si aspetta il fior fiore delle nostre università, dopo una scientifica annuale selezione di reclutamento) e potranno i loro genitori scaricare dai loro 730 le tasse, le spese per i libri, per le lezioni private, per gli abbonamenti e quant’altro? E – sempre gli studenti – potranno avere delle ottime biblioteche e potranno richiedere quelle strutture di una scuola moderna? E i docenti, invece delle briciole derivanti dai progetti, potranno avere due stipendi (uno amministrativo e uno didattico per il lavoro realmente svolto)? Sono convinto che anche nelle scuole le cose migliorerebbero, se le offerte della società fossero all’altezza dei tempi. E se le leggi elettorali porteranno tutto questo, allora ben vengano, ma se si tratta di una nuova prova di maquillage, lasciamo perdere. Non vorrei ritornare sulle elezioni siciliane, ma ci sembra valido un sistema che plaude ad un’elezione in cui il 53% dei cittadini non ha votato? Un intero paese avrebbe dovuto domandarsi come mai la legge non ha previsto l’annullamento di un simile risultato, anche perché è nelle cose la necessità da parte di chi ha vinto di guardarsi intorno per avere i voti necessari per far funzionare la macchina politica. Allora bisogna riflettere. Se Sartori suggerisce che potrebbe essere preso a modello il sistema francese, anche la sua proposta ha una logica, nel senso che si rispetta, da una parte, la proporzione dei voti espressi per le liste di partito, e, dall’altra, in una fase successiva, si decide chi dei due candidati delle liste a maggior suffragio, debba guidare lo stato nei successivi cinque anni. E in Francia siamo alla Quinta Repubblica. Noi invece che abbiamo la Costituzione del 1948 (e non del tutto applicata) parliamo di seconda e addirittura di terza repubblica. Di fatto, c’è un scarto, c’è uno iato. La repubblica, ogni repubblica che nasce, ha la sua Costituzione, perché è il frutto di una sintesi di un patto tra i nuovi soggetti politici e non operazione di belletto. Preoccupiamoci di seguire – oggi – la nostra Costituzione, mettiamoci al lavoro almeno per i suoi primi tre articoli, verifichiamo se i cittadini sono messi in condizione, con i loro meriti e sacrifici, di aspirare a qualcosa di significativo, di escludere dal sistema politico chi ruba e che ha professato di operare per il bene pubblico. E su questa scia, il resto. Perciò i Bersani, i Casini, i giovani Renzi e Alfano, ci dicano se il giorno dopo delle elezioni ci daranno un segnale, stabilendo che chi non farà il proprio dovere sarà “rottamato”. Anche subito. E questo in tutte le pubbliche amministrazioni dello stato.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:54