Quando troppi grilli cantano

Parafrasando un noto proverbio: “Tanti grilli a cantà, nun se fa mai giorno!”. E, così, prosegue malinconica la lunga notte della Seconda repubblica (dico: ma quale riforma costituzionale hai mai empowered - investire di un potere/autorità - una “nuova forma-governo”, con elezione diretta del Premier?), con comici-attori a caccia di potere assoluto e partiti malconci e rovinati dalla slavina siciliana, che cercano conforto in sterili, quanto inutili primarie, senza che prima, logicamente, sia stato rielaborato uno straccio di riforma dell’attuale legge elettorale, definita elegantemente Porcellum. Tanto, appare chiaro che il “Generale Inverno” della politica italiana del Secondo dopoguerra sarà Sua Maestà l’astensionismo. E questo per molti, buoni motivi. Il primo, è il mancato svecchiamento della mentalità politica prevalente, imbevuta di mitici slogan come l’Europa, l’Euro, la globalizzazione, la competitività che non hanno mai avuto un compiuto senso programmatico, rappresentando, piuttosto, un richiamo atavico a difendere scontate rendite di posizione.

Infatti, di tutti quei miti noi siamo stati vittime consapevoli. Ciampi e Prodi hanno decimato il potere di acquisto del 95% delle famiglie italiane, accettando il cambio-capestro imposto dalla Germania all’Italia. L’Europa ha accentuato lo squilibrio italiano tra Mezzogiorno e resto del paese, desertificando la splendida agricoltura italiana, per sussidiare pesantemente quella francese e tedesca (attraverso la famigerata “PAC”). Nel rispetto delle famigerate quote, i nostri allevatori hanno dovuto sversare un mare di latte nei terreni all’aperto, mentre gli agricoltori sono stati obbligati a spiantare molte migliaia di ettari coltivati ad agrumeto, mandando al macero milioni di tonnellate di prodotto maturo. Per non parlare, poi, dei costi terribili dell’Euroburocrazia, che ci ha inondati con i suoi regolamenti assurdi, frutto di snervanti negoziazioni, prima tra 9, poi dodici e, in ultimo, 27 burocrazie nazionali. Non capendo nulla delle conseguenze, abbiamo aperto con entusiasmo alla globalizzazione e alla libera circolazione dei lavoratori dell’Est, cittadini dei paesi neocomunitari. 

Con il bel risultato che, in base ai Trattati, molte Aziende hanno dislocato i loro impianti produttivi nei paesi europei dell’ex Cortina di Ferro, che presentano un costo del lavoro pari a un quarto di quello italiano e hanno regimi fiscali che privilegiano al massimo gli investimenti dall’estero. Altro grande mito, quello del rilancio della produttività e, quindi, dell’occupazione (quella giovanile, in primis), senza tener conto del semplice insegnamento che ci viene, tra gli altri, da Giovanni Sartori. Ovvero: in regime di globalizzazione, la creazione di posti di lavoro corrisponde a una sorta di sistema di vasi comunicanti. Se si crea un vuoto (decrescita occupazionale) da una parte - l’Occidente -, lo si colma da quella opposta - il continente asiatico, India compresa - che ha costi pari a un decimo, circa, di quelli occidentali, a parità di tecnologia. Questo vuol dire, in sintesi, che il gap tra crescita della ricchezza in Occidente e quella in Oriente è destinato, inevitabilmente, a inasprirsi nel tempo, piuttosto che ad allinearsi. 

Quindi, la politica (“p” minuscola), scegliendo di aprire i mercati italiani alla globalizzazione, ha favorito l’invasione delle merci cinesi (bassa qualità e prezzi stracciati), che hanno letteralmente distrutto l’industria tessile italiana, con la conseguente perdita di decine di migliaia di posti di lavoro qualificati. E, ovviamente, il danno è irreversibile: per far tornare i telai a Prato, gli italiani dovrebbero lavorare “più” dei loro omologhi cinesi a salari “più” bassi! Di fatto, un’utopia. Intanto, il Grillo “cantante” per eccellenza, predica il diluvio universale dai pulpiti mediatici, comportandosi come il più classico dei vecchi politici Dc, “chiamando” comizi a pioggia, nei territori che vanno a elezioni amministrative. 

Padrone dell’immagine e della sua esibizione, Grillo è l’anti-talk show, perché se parlano solo gli altri, allora non possono essere che questi ultimi a sbagliare! Anche il paradosso dell’Antipolitica è una prelibatezza a 5 Stelle: fa comodo alla “politica” (“p” minuscola..) e ai vari cani sciolti (Renzi compreso..), per raccogliere qualche frammento del centro-destra e per coagulare il consenso degli scontenti di ogni colore politico. E l’interesse nazionale, dove sta in tutto questo? Ovvio, nel paese dei Balocchi dei tanti Pinocchi e Mangiafuoco, che rivendicano un poltrona nei salotti di Vespa, Lerner e Bonolis. Amen.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:56