
Francesco Baiamonte, dice nulla questo nome? Ai più, certo no. Era detenuto, in carcere, il Pagliarelli di Palermo. Aveva 65 anni, si è suicidato sabato scorso. Da inizio anno è il 48esimo detenuto che si toglie la vita, il 740esimo dal 2000 ad oggi. Baiamonte... originario di Casteltermini; stato accusato di aver fatto parte della locale famiglia mafiosa, coinvolto nell’inchiesta “Kamarat”, non finisce però in carcere insieme agli altri indagati: il giudice per le indagini preliminari ritiene di non accogliere la richiesta della Direzione distrettuale antimafia. La procura non si arrende, presenta ricorso, che viene accettato dalla Cassazione, che decide che Baiamonte deve rimanere in carcere. Venerdì scorso il giudice per l’udienza preliminare lo condanna a dieci anni di carcere per associazione mafiosa. Questa in sintesi la situazione giudiziaria di Baiamonte.
Il suicidio di Baiamonte segue di qualche giorno quello di un altro boss mafioso, si chiamava Pietro Ribisi, 61 anni. Anche Ribisi ha una sua storia interessante. Era detenuto nel carcere di Carinola vicino Caserta. Ribisi era ritenuto il capo cosca di Palma di Montechiaro, uno dei cosiddetti “fratelli terribili” perché i Ribisi, tutti “stiddari”, negli anni ‘80 uccidevano e venivano uccisi, animati da rara spietatezza. Pietro in particolare scontava un ergastolo, ritenuto tra i responsabili dell’omicidio del presidente della Corte d’Assise d’Appello, prima a Caltanissetta poi a Palermo, Antonino Saetta; Saetta, quel magistrato, quel giudice assassinato assieme al figlio Stefano, mentre sono in automobile sulla statale AG-CL il 25 settembre 1988.
Pietro Ribisi si sarebbe impiccato giovedì scorso. Il Pubblico Ministero, ha aperto un’inchiesta, sequestrato la cella e gli effetti personali, fatto svolgere l’autopsia sul cadavere, come in questi casi è d’uso. Il figlio di Pietro Ribisi, Nicolò, pone degli interrogativi che sarà bene sciogliere. Secondo Nicolò Ribisi «non si può ancora essere certi delle cause della morte. Mio padre, su cui non esprimo giudizi, è stato 20 anni in carcere di cui 11 sottoposto al durissimo regime del 41 bis. Non aveva motivo di suicidarsi proprio ora, che poteva sperare in qualche beneficio. Anzi, per me potrebbe essere stato ucciso. Mio padre non stava bene. Non riusciva a dormire. L’ho visto martedì scorso. Avevamo chiesto di farlo trasferire in un penitenziario con ospedale annesso ma giovedì è morto. Dicono che si è impiccato. Ma ho visto il suo collo dopo che ci hanno consegnato la salma: ha un segno che va verso il basso, non verso l’alto. E ha le dita della mano sinistra nere come se avesse tentato di impedire che lo strangolassero».
Pietro Ribisi viene arrestato nel febbraio del 1982, per due anni e mezzo è stato latitante, dopo essersi sottratto agli obblighi previsti dal soggiorno obbligato. Nei tre anni precedenti, uno dopo l’altro, erano stati uccisi tre suoi fratelli: Gioacchino, assassinato nel 1988, caduto in un agguato nel centro di Palma Montechiaro; gli altri due, Rosario e Carmelo, uccisi nel luglio 1989, da sicari penetrati all’ interno dell’ospedale di Caltanissetta, dove il primo era ricoverato da alcuni giorni dopo essere stato ferito in un precedente agguato. Delitti che avevano fatto scalpore, a suo tempo.
Torniamo al giudice Saetta. Lo uccidono, come abbiamo detto, assieme al figlio. Saetta è il primo magistrato giudicante morto ammazzato in Sicilia e in Italia. Paga l’ergastolo inflitto a Michele e Salvatore Greco, per la strage nella quale è stato ucciso il giudice Rocco Chinnici. Paga l’ergastolo inflitto ai tre mafiosi che, guidati da “Piddu” Madonna uccidono il capitano dei carabinieri di Monreale Emanuele Basile. Con questi precedenti, e questa fama, si prepara a presiedere il processo d’Appello del maxi-processo di Palermo. Gli mettono in conto anche questo. Qualcuno ha anche cercato di “avvicinarlo” per vedere se si poteva un poco addomesticarlo, ammansirlo. L’ha mandato a quel paese, quel “qualcuno”. Così il 25 settembre il giudice Saetta e il figlio Stefano vengono uccisi mentre tornano a Canicattì da Palermo, erano andati alla festa di battesimo di un nipotino. Non ha la scorta, Saetta; e neppure l’automobile blindata.
Ucciderlo è facile: il giudice e il figlio sono crivellati da una cinquantina di proiettili. Saetta non parlava mai del suo lavoro in famiglia. Il figlio Roberto ricorda: «Noi non sappiamo se negli ultimi giorni della sua vita avesse percepito di essere in grave pericolo. In famiglia non ce ne parlò. Notammo però che era dimagrito, e che aveva un’espressione più pensierosa del solito». L’ordine di uccidere viene da Totò Riina. Secondo quanto riferisce il “pentito” Salvatore Cangemi, avrebbe detto: «Stu’ cornutazzu non l’ha voluto assolvere e quindi gli è toccato questo». «Questo» è, appunto, la morte. Questo il curriculum di Pietro Ribisi. Vai a capire se uno così, che di rimorsi e dubbi ne doveva coltivare assai pochi, a un certo punto davvero decide di farla finita; e perché. Vai a capire perché Francesco Baiamonte decide che è meglio uscire di scena subito, e non lentamente, giorno dopo giorno, chiuso in una cella... Vai a capire. Però... Però. cominciano a essere parecchi i mafiosi che si sono tolti la vita, a cominciare da quel Gioé che faceva parte del commando che ha ucciso Giovanni Falcone, la moglie e la scorta... Magari è solo una fantasia di cronista che per una volta si fa suggestionare e prende lucciole per lanterne. Non sarebbe la prima volta. E però... Però sarebbe tuttavia interessante ripercorrere la storia dei mafiosi suicidi di questi ultimi anni. Perché alcuni appaiono curiosi, e a scavare un po’, inquietanti.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:56