No alla scuola come “assumificio”

Da una parte il governo, che inserendo nella legge di stabilità l’aumento delle ore di lezione per docente a stipendio invariato dimostra di essere interessato unicamente a fare cassa; dall’altra la difesa corporativa degli insegnanti e la levata di scudi, «a tutela dei docenti», della solita sinistra politica e sindacale, che perseverano nella loro concezione della scuola pubblica come “assumificio”, principale causa del disastro educativo italiano. Nessuno sembra attribuire la giusta centralità all’interesse degli studenti, né porsi il problema della qualità del servizio e dell’efficienza del sistema. E intanto infuria il dibattito: tra chi difende gli insegnanti, ricordando la centralità del loro ruolo educativo e quanto siano sottopagati, e sottolineando l’ingiustizia di dover lavorare sei ore in più a settimana a paga invariata; e chi li attacca, considerandoli alla stregua di “fannulloni”, dal momento che nessuna categoria può nemmeno sognarsi un orario di 18 o 24 ore settimanali e, anzi, molti lavoratori di fatto sono più vicini alle 50 che alle 40 ore. Hanno ragione e torto entrambi gli schieramenti. Il problema è che per come è strutturato oggi il nostro sistema scolastico ci sono insegnanti – pochi, si ha l’impressione – che per la gloria, per senso del dovere o per passione lavorano molto più di 18 ore, offrendo un servizio di qualità. Sono costoro che mandano avanti la “baracca”, tra mille difficoltà e mal pagati.

Dovrebbe però essere interesse proprio di questi insegnanti che venga smantellato un sistema che permette a troppi loro colleghi di “imboscarsi”, di fare il minimo sindacale e, quindi, di abbassare il livello qualitativo della nostra istruzione, pur percependo esattamente lo stesso stipendio. Dall’esperienza delle famiglie e dalle testimonianze degli insegnanti, che parlano di classi ormai di 30 alunni, emerge un quadro smentito dalle statistiche ufficiali (Ocse su dati del 2010, gli ultimi disponibili). In Italia si registrano medie di 18,8 alunni per classe nella scuola primaria e di 21,3 nella secondaria inferiore, entrambe molto inferiori a quelle di Francia (22,6 e 24,3) e Germania (21,5 e 24,7). Il rapporto studenti/insegnanti nelle scuole secondarie è di 11,9 alle medie e 12,1 alle superiori (14,9 e 13,2 in Germania; 13,7 e 13,8 la media Ocse). Il rapporto peggiora se si escludono gli insegnanti di sostegno e di religione (Ocse su dati 2009): 11 studenti ogni insegnante (13,3 nelle scuole tedesche, 12,5 in quelle francesi, mentre la media Ue21 è di 12,1 e la media Ocse di 13,5). Siamo sotto la media anche nei giorni di scuola l’anno (175, contro i 193 in Germania, i 190 nel Regno Unito, i 184 della media Ue21 e i 180 degli Stati Uniti) e nelle ore annue di insegnamento frontale per insegnante: 630 sia nelle scuole medie che nelle superiori, mentre in Germania rispettivamente 756 e 713 ore e la media Ocse è di 704 e 658. Ma la didattica frontale non dovrebbe esaurire il carico di lavoro degli insegnanti. E infatti nella maggior parte dei paesi Ocse è previsto un numero complessivo di ore di lavoro settimanali all’interno del quale vengono specificate le ore minime di lezione, mentre nelle ore rimanenti agli insegnanti viene richiesto di rimanere a disposizione della scuola, o comunque di dedicarsi al loro lavoro, per attività di insegnamento e non (preparazione delle lezioni, correzione dei compiti eccetera). In Italia non è così: vengono specificate solamente le ore minime di insegnamento frontale. Gli insegnanti tedeschi devono lavorare 1793 ore l’anno, quelli inglesi 1265, quelli americani quasi 2.000 ore, mentre la media Ue21 è di 1.584. Qualcuno vuole dimostrare che tutti i nostri insegnanti lavorano altrettanto? Si accomodi. E’ evidente che mentre molti fanno fino in fondo il loro dovere, dedicando alla scuola un numero di ore molto superiore a quelle di lezione formalmente richieste, altrettanti se ne infischiano e si limitano al minimo. E per di più non c’è nemmeno una valutazione ex post del lavoro effettivamente svolto. E’ vero fino ad un certo punto, invece, che i nostri insegnanti sono sottopagati rispetto ai loro colleghi dei paesi simili al nostro. In Italia guadagnano (valori espressi in USD PPPs) 29.122 ad inizio carriera, 36.582 dopo 15 anni, e 45.653 a fine carriera. Molto meno rispetto alle retribuzioni tedesche (rispettivamente 53.963, 66.895 e 76.433), come d’altra parte tutte le categorie di lavoratori, ma più o meno quanto gli insegnanti francesi (27.420, 35.819, 51.560), inglesi (30.204 e 44.145) e alle medie Ue21 (31, 42 e 50 mila) e Ocse (31, 41 e 49 mila). Al livello retributivo va comunque attribuita grande importanza per la qualità del servizio. Oltre che corrispondere ad una prestazione lavorativa, infatti, esercita un indubbio effetto attrattivo: livelli più elevati attirano nella professione elementi migliori. Ciò che emerge dai dati è che gli insegnanti delle scuole medie e superiori italiane hanno un carico didattico di aula, ma soprattutto complessivo, e una retribuzione inferiori rispetto agli altri paesi Ocse simili al nostro e alla media Ue21.

Dunque, lavorano poco e guadagnano anche poco, ma il sistema crea enormi disparità, tra insegnanti che lavorano molte più ore della media e altri che si limitano al minimo sindacale, pur percependo lo stesso stipendio dei colleghi più impegnati. Il combinato disposto di basso rapporto tra studenti ed insegnanti, ridotto numero di studenti per classe (inferiore alla media Ocse), del ridotto numero di ore di lezione per insegnante (inferiore alla media OCSE) a fronte di un elevato monte ore in aula degli studenti (superiore alla media Ocse), suggerisce una sottoutilizzazione, o quanto meno un inefficiente utilizzo, del corpo insegnante. Un eccesso di insegnanti e personale non docente a fronte della carenza di strutture e investimenti, e la totale assenza di retribuzioni differenziate sulla base di valutazioni quantitative e qualitative, quindi di una carriera per merito, continuano ad essere i nodi più urgenti da sciogliere. «L’avvio di un patto per la scuola», come auspica il ministro Profumo, per migliorarla, è doveroso, considerando lo stato penoso in cui versa, ma a partire dal contratto di lavoro, non dalla legge di stabilità, che è una legge di bilancio, tanto che dall’aumento delle ore di lezione per insegnante il governo punta a risparmiare, a regime, oltre 700 milioni di euro l’anno, senza provvedere ad una riforma sistemica, in particolare dello status dei docenti.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:51