La recente storia politica planetaria insegna che il periodo delle primarie, nei partiti che decidono di dotarsi di questo strumento, è momento di grande dibattito, proposizione di idee, valori, interpretazione, creazione e sfruttamento dei sentimenti propri ed altrui. Matteo Renzi si sta dimostrando maestro in questo.
Il sindaco di Firenze sta utilizzando le primarie ben oltre il perimetro che il Partito Democratico voleva affidare a questo strumento. Da inquadrata ed inquadrante lotta per decidere chi candidare come premier (una definizione per altro al di fuori del percorso costituzionale nostrano), Renzi ha trasformato le primarie nel suo giocattolo, elevandolo non solo a discussione interna di un partito, ma facendolo diventare la tribuna nazionale preferita.
Il candidato democratico ha allargato notevolmente il campo del dibattito dalle questioni di partito (quali regole adottare, chi far votare, chi far partecipare) a problemi di rilevanza nazionale, utilizzando il tutto per la sua personale campagna elettorale. Una campagna così forte che i problemi delle modalità di voto e della concorrenza di antagonisti importanti come Vendola sono diventati marginali, quasi delle perdite di tempo. Non solo: il sindaco del capoluogo toscano è riuscito talmente tanto a differenziarsi dagli altri tanto da creare la tipica polarizzazione “io contro tutti”.
Renzi ben sa che una tale dinamica può favorire proprio un candidato fortemente “personale” come lui è, perché può continuamente attirare su di sé i riflettori in un contesto che lui stesso ha ridotto ad una singolar tenzone tipica di uno stile cavalleresco anch’esso innovativo in casa democrats, dove i toni sono sempre rimasti nell’ambito del quotidiano incontro tra idee.
Quello che Renzi ha provocato è proprio lo spostamento dall’incontro allo scontro, da separato in casa rinnegato, portatore di valori ed idee che spostano ed allargano il perimetro del cerchio politico piddino. Un perimetro così largo che il dibattito intorno al Pd è tornato ad essere di livello nazionale, tanto che, da sinistra come da destra, ognuno ha da dire la sua sulle primarie.
Renzi ha riportato il Pd al centro della discussione politica, gli ha riconsegnato una visibilità che alla fine fa comodo a tutto il partito nel suo insieme.
Ora il problema però è conquistare le menti della base vecchia maniera, e per questo Renzi sta facendo una piccola marcia indietro: «Se davvero fossi di destra ci sarei già andato, con il vuoto che c’è...». L’accusa di “destrismo” pesa sul candidato anti-Bersani. Ora starà a lui dimostrare di essere l’uomo della Provvidenza quale si sente, pena il rientro del Pd nell’alveo dei “partiti di sinistra in continuo litigio”: un copione noto e per niente rottamato, neanche dal sindaco.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:46