Sviluppo e scontri: la via della Dolce Vita

Come l’omonima regione, anche via Molise a Roma è molto piccola, stretta tra via Veneto e via San Basilio, nei pressi di piazza Barberini. Sta nell’antico rione Ludovisi, che si appoggia frontale a Villa Borghese, tra le Porte Pia e Pinciana fino a Piazza di Spagna. Non ha particolari qualità ed anche il ministero dello Sviluppo economico vi ha solo un’entrata secondaria, la porta di servizio, diciamo il lato B, mentre l’ingresso principale è trionfalmente posto in via Veneto.

Ormai da anni i fronte a quel lato B si affollano lavoratori e maestranze di tutti i tipi in attesa dei risultati dei colloqui sulle loro sorti, affidati a sindacalisti, funzionari e raramente politici, che si tengono dentro il ministero. A Roma sono molti i luoghi fissati dal prefetto e scelti dalle manifestazioni di ogni tipo che quotidianamente influenzano e talvolta bloccano la vita dei locali lavoratori, cittadini e turisti. La capitale ha un centro enorme, proporzionato all’estensione territoriale capitolina, massima tra le capitali d’Europa. Eppure solo qui, in via Molise le manifestazioni sembrano avere un senso.

Qui i manifestanti sembrano sempre più numerosi, stretti lungo 200 metri, come le loro grida ed i loro tamburi per effetto dell’acustica rimbombano lungo gli alti muri da più strumenti e gole di quanto magari non effettivamente presenti. Qui non si tratta di far esplodere rabbia o indignazione, urlare un’opinione, dare prova muscolare di capacità di mobilitazione e occupazione del territorio. Qui, spesso le stesse organizzazioni impegnate a sostenere il lavoro, sono restie ad eccedere nei numeri, per timore di incidenti. Qui viene chi è direttamente interessato a quei colloqui, da cui dipende il suo reddito, il suo futuro, il suo mutuo, il prolungamento o meno del suo sussidio, il suo trasferimento di sede o meno, l’esistenza stessa del suo tipo di lavoro.

Aspetta pensando alle tante piccole cose lavorative spicce e quotidiane che conosce, ai tanti problemi di cui conosce la meccanica, le soluzioni e le conseguenze. Sa che chi è seduto al tavolo non conosce né le prime, né i secondi; sa che nessuno ne chiederà, perché chi deve decidere può guardare solo ai grandi numeri, al database, all’indicazione europea, al trend dei mercati. La torva consapevolezza rabbiosa e pessimistica che, anche nel caso migliore e salvifico, i problemi non verranno affrontati, perché per quelli non ci sono mai tavoli di discussione, riversa nuove folle, proletarie d’altri tempi, oggi fatte da individui da facebook, a disagio di fronte alla necessità di reinventarsi una coscienza collettiva. nella disabitudine al dialogo.

Il lato A è via Veneto, luogo maestoso di grandi hotel, passeggiate in tacco 12, ambasciata Usa, vecchi night club, acquari ristoranti ben piazzati sui marciapiedi, non ha neanche più l’Iri. I prodotti Libera Terra, santificati da Don Ciotti, al Cafè de’ Paris, requisito agli Alvaro, sono durati un attimo, dopo l’arrivo del nuovo proprietario straniero. Qui il corpo pulsante delle manifestazioni trova uno stop posto dai cellulari blindati e dalle diverse e folkloristiche divise esibite dai tanti corpi delle forze dell’ordine che riempiono letteralmente tutta via di San Basilio, a scendere da via Molise verso la via della dolce vita. Via di San Basilio, come dire di Cristo Re, o meglio dedicata ad un porporato orientale perso nella notte di tempo, vescovo di città che non sono più in regioni scomparse a capo di ordini religiosi sconosciuti, con un duomo omonimo incassato tra le case, con tanto di stemmi, archi, ospizi e collegi italo-greci, tanto antichi da venire restaurati già nel Seicento.

Una via reale, dove l’edicola non vende giornali ma è nicchia per la Madonna, dove il ristorante non può essere che il prestigiosissimo Moma, osannato per il cacio sbronzo, dove l’hotel non può essere che l’ancor più aristocratico albergo LuxuryAleph della catena Boscolo, ristrutturato come un inferno dantesco, da pape satan, pape satan aleppe, monitorato da portieri di colore in livrea, nemmeno la Lousiana presecessione, dove anche la Cgil funzione pubblica è a disagio tra l’ex sede Italcasse ed i palazzi settecenteschi, dove i manifesti urlati quasi vengono espulsi dai muri dei conventi e le due sedi Bnl Paris Bas si fronteggiano con numeri civici nuovi diversi da quelli incisi sui muri. Il Duomo del vescovo orientale è proprio di faccia a via Molise: i re guardano centinaia, migliaia di poveri cristi che si accapigliano, urlano, si feriscono negli scontri.

Qui è caduto, solo negli ultimi mesi, il sangue di qualcuno della Sirti, dell’Alcoa e dell’Alitalia, assieme a quello delle forze dell’ordine. Voci dicono che il governo intervenga solo per chi lasci sangue, un ferito, due contusi, tra i 200 casi del contenzioso nazionale, nei 2,7 milioni di ore di cassa integrazione. Chi è inchiodato alle vertenze locali e regionali blocca strade e palazzi esercitandosi per salire di categoria, in questo campionato non di soluzioni ma solo di sperate attenzioni; per arrivare a questo incrocio, per sperare di essere scelto da una trasmissione tv e quindi preso in considerazione. Ulltimi al sit di via Molise quelli delle Acciaiere Terni. Un bel problema per i fautori di regole e mercato.

A Terni 3mila lavoratori diretti e 5mia indiretti producono forse il miglior acciaio del mondo, oltre il 21% del pil umbro. Il mercato tira; non ci sono nemmeno magistrati che vogliano far chiudere gli impianti per inquinamento, malgrado la presenza della fabbrica in piena città. Il finnico Seitovirta che li ha appena comprati, dice: bravi, bravissimi. I problemi stavolta li crea il meccanismo antitrust d’Europa. Per avere il via libera all’acquisto per €2,7 miliardi di Inoxum, l’acciaio inossidabile della tedesca ThyssenKrupp, inclusa l’Acciai speciali Terni, la finlandese Outokumpu ha preso a gennaio impegni chiari con Bruxelles. I finnici, a forza di fusioni (British Steel Stainless, svedese Avesta, tedesca Lurgi) dalla Carelia sono arrivati solo con Inoxum a 11mila lavoratori ed alla posizione dominante di mercato, oltre il del 50% dell’acciao europeo. Hanno concordato di chiudere dal 2013 le acciaierie tedesche di Krefeld e Bochum. Per il giudizio antitrust europeo previsto per novembre non basta però.

Si va allora a spezzettare l’impianto integrato ternano, smontandone parte degli impianti. Enti locali e sindacati esplodono. Finiscono tra gli accusati di complotti nordici, i finnici, i land tedeschi, il sindacato metameccanico europeo Efm e quello tedesco IgMetal, oltre alla debolezza dell’europeo Monti, del governo dei rispettabili, che non ricorda che fu proprio Giolitti, intervendo per Terni ad inaugurare la lunga stagione delle partecipazioni statali. Qualcuno rammenta che la produzione dell’acciaio mondiale (1527 miliardi di tonnelate) già oggi non basta, che per i 700 dell’acciaio cinese (che i ternani considerano assolutamente scadente) non ci sono limiti e che i dazi europei al 39% quest’anno sono stati azzerati; che la Germania produce il doppio dell’Italia (ferma a 30 mt). Altri ricordano che acciaio è auto, bianco, edilizia, trasporti, alimentari, energia; che ciascuno ne consuma  215 kg annuali, che dopo lo smantellamento dei ’90, oggi con Lucchini, Ilva e Terni sta crollando un caposaldo.

Un caso interessante, da manuale quello delle acciaierie, un case study per liberisti e mercatisti da risolvere prima di sentenziare di fronte ai nuovi dei del mercato - onnipotenti dell’ambiente, delle condanne esempio sugli infortuni e dell’antitrust- e che stranamente sul lato B della strada emettono sempre sentenze negative. Per poi passeggiare soddisfatti lungo il lato A, senza parlare di lavoro, tema noioso, poco etico, senza soluzioni brillanti.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:59