Monti come il Cav, fregato dal tesoro

Prima Repubblica, poi il Sole24ore, prosegue l’offensiva mediatica del ministro del Tesoro Vittorio Grilli per difendere la legge di stabilità dalle numerose critiche di queste ore – sulla retroattività del taglio alle agevolazioni fiscali, sulla tentata stangata ai disabili e ai servizi ad essi dedicati, così come sui tagli alla sanità. 

Ma nel complesso, l’obiettivo comunicativo di cui abbiamo scritto su queste pagine nei giorni scorsi – nascondere un ulteriore aumento di tasse incrociando tra di loro tagli e aumenti di imposte – può dirsi raggiunto. 

Ancora oggi, infatti, dopo che il testo definitivo è stato finalmente presentato alle Camere, sono oggetto di polemica le singole misure, ma dal dibattito non emerge con sufficiente chiarezza che nonostante il timido intervento sull’Irpef, nel 2013 e negli anni seguenti pagheremo complessivamente più tasse.

Nessun giornale ha ancora chiesto conto al ministro Grilli del saldo reale delle misure fiscali. 

È vero che se si guarda alla legislazione vigente, nella quale l’aumento di ben due punti dell’Iva a partire da luglio era già stato inserito, l’aumento di un solo punto può essere presentato come una diminuzione dell’imposta, che si andrebbe ad aggiungere al mini-taglio delle aliquote Irpef e alla detassazione dei salari di produttività. 

Ma il suo effetto concreto, rispetto all’anno precedente, sarà di 3,3 miliardi in meno nelle tasche degli italiani e altrettanti in più nelle casse dello stato. 

Non si capisce quindi come mai nessun importante organo di stampa obietti a Grilli che gli 8,7 miliardi di tasse in meno che continua ad annunciare sono in realtà 5,4 miliardi, a fronte di aumenti di imposte per circa 6,7 miliardi. Rapporto destinato a peggiorare, a legislazione invariata, dal 2014: circa 6,6 miliardi contro circa 10.

E sorprende come sia passata praticamente inosservata la grave gaffe del ministro sulla retroattività dei tagli a detrazioni e deduzioni, che è sì – ammette – una violazione dello statuto dei contribuenti, ma negli anni, spiega con stupefacente faccia tosta, le violazioni «sono la regola piuttosto che l’eccezione». Il che con tutta evidenza non giustifica affatto ulteriori violazioni, semmai le aggrava, essendo intenzionali e reiterate. 

È tollerabile che un ministro ammetta candidamente di non rispettare la legge? E se i contribuenti, a loro volta, si giustificassero dicendo che negli anni l’evasione fiscale è stata la regola piuttosto che l’eccezione?

Il ministro è apparso possibilista sull’ipotesi di eliminare la retroattività, così come sugli altri punti controversi («siamo aperti alla discussione su tutto in Parlamento»), ma le sue parole suonano piuttosto come una sfida: il Parlamento si accomodi, ma sappia che costa un miliardo e il rischio è dover rinviare il taglio dell’Irpef sul secondo scaglione. 

Confermato l’approccio riduttivo sulle dismissioni, finalizzate a raccattare qualche miliardo qua e là, come tappa-buchi piuttosto che un’operazione per abbattere il debito e rilanciare l’economia. I proventi (circa un punto di Pil) verranno in parte utilizzati per accelerare i pagamenti della Pa alle imprese, ma sarà un «seminario» con i soggetti politici e istituzionali coinvolti a inviduare, entro fine anno, i beni da vendere e le procedure da utilizzare. 

Insomma, il dibattito è aperto, ma come spesso capita quando sono i diversi tentacoli della piovra pubblica a doversi districare, potrebbe durare mesi, per partorire, infine, il tipico topolino.

E che sia il ministro Grilli a esporsi sulla legge di stabilità, a metterci la faccia, mentre il premier sull’argomento tace da una settimana, dalla conferenza stampa al termine del Cdm del varo, potrebbe essere l’indizio di un malumore. 

Che il presidente Monti e altri ministri fossero davvero convinti che si aprisse la strada, o almeno un viottolo, ad una riduzione delle tasse? 

È possibile che il Tesoro, dal ministro Grilli al suo gabinetto, passando per la Ragioneria generale, abbiano usato il mini-taglio dell’Irpef come cortina fumogena anche nei confronti del resto del governo, premier compreso? 

Congetture, certo, ma a leggere il lungo elenco di imposte e balzelli “minori”, che insieme al taglio di detrazioni e deduzioni alla fine fa pendere la bilancia sul lato delle maggiori entrate, la sensazione è che mentre il Cdm decideva il senso strategico del testo puntando sulla riduzione dell’Irpef per compensare il parziale aumento dell’Iva, quindi in un gioco a somma zero, in fase di messa a punto il saldo delle misure fiscali sia stato deviato a sfavore dei contribuenti.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:07