La burocrazia che strozza le imprese

Le spire della burocrazia soffocano la piccola e media impresa italiana. È un boa constrictor da 26,5 miliardi l’anno quello misurato in tutta la sua minacciosa lunghezza dalla Cgia di Mestre. Quanto basterebbe per creare oltre 600mila nuovi posti di lavoro. E a far la fine del topo, ancora una volta, sono le piccole e medie imprese. La “spina dorsale dell’economia italiana”. 

Schiacciate dai crediti insoluti con lo stato, dalla pressione fiscale, dall’articolo 18, dal paventato aumento dell’Iva che rischia di dare il colpo di grazia ai consumi, o dagli istituti di credito che si rifiutano di accendere nuovi mutui, devono fare i conti anche con lacci e lacciuoli della burocrazia.

Secondo uno studio del 2011 pubblicato dalla presidenza del consiglio dei ministri, l’insostenibile pesantezza della burocrazia è uno dei principali ostacoli alla crescita del nostri sistema economico. Ogni anno le aziende sborsano 23 miliardi per compilare montagne di scartoffie in materia di lavoro, di ambiente, di fisco, di privacy, di sicurezza sul lavoro, di prevenzione incendi, di appalti e di tutela del paesaggio. Tonnellate di carta straccia, per buona parte utile soltanto a “sfamare la Bestia”, pesano come non mai su un sistema produttivo già oppresso dalla crisi. E negli ultimi mesi la sinfonia non è cambiata. Anzi: ai circa 23 miliardi di euro annui calcolati allora come media dei costi della burocrazia sulle imprese, oggi se ne sono aggiunti altri 3,5. E ad ogni piccola impresa l’apparato burocratico costa 6mila euro.

Ma i costi della burocrazia costituiscono anche una pesantissima palla al piede per l’occupazione. Lo diceva già nel febbraio scorso Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia: «Se con un colpo di bacchetta magica fossimo in grado di ridurne il costo della metà, libereremmo 11,5 miliardi di euro all’anno che potrebbero dar luogo,  almeno teoricamente, a 300mila nuovi posti di lavoro. Invece - prosegue Bortolussi - tra il peso delle tasse e le difficoltà nel districarsi tra i meandri della burocrazia italiana, le imprese, soprattutto quelle di piccole dimensioni, continuano a perdere tempo e denaro». 

Ecco nel dettaglio dove la burocrazia esercita i suoi effetti peggiori. Il settore che incide di più sui bilanci delle Pmi è quello del lavoro e della previdenza: dalla tenuta dei libri paga alle le comunicazioni legate alle assunzioni o alle cessazioni di lavoro, passando  le denunce mensili dei dati retributivi e contributivi, l’ammontare delle retribuzioni e delle autoliquidazioni e così via. L’intero capitolo costa al sistema delle Pmi quasi 10 miliardi l’anno (9,9, per amor di precisione).

A seguire, l’area degli obblighi ambientali, che pesa per 3,4 miliardi di euro l’anno. Tra le prime voci di spesa le autorizzazioni per lo scarico delle acque reflue e la documentazione per l’impatto acustico. E poi ancora la tenuta dei registri dei rifiuti e le autorizzazioni per le emissioni in atmosfera.

Di grande rilievo anche i costi amministrativi legate agli adempimenti in materia fiscale. Non si pagano soltanto le tasse tout-court, ma anche le dichiarazioni dei sostituti di imposta, le comunicazioni periodiche ed annuali Iva, e così via. Tra bolli, timbri e vidimazioni varie se ne vanno così ogni anno 2,8 miliardi di euro “extra” rispetto alla normale pressione fiscale. Che, horribile dictu già in Italia per le imprese arriva a divorare da sola quasi il 70% sugli utili del bilancio annuale.

Gli altri settori che incidono sui costi amministrativi delle Pmi sono la privacy (2,2 miliardi di euro), la sicurezza sul lavoro (1,5 miliardi), la prevenzione incendi (1,4 miliardi), gli appalti (1,2 miliardi) e la tutela del paesaggio e dei beni culturali (0,6 miliardi). 

Le ripercussioni negative di questo Leviatano economico e fiscale non si abbattono però soltanto sul bilancio delle Pmi di casa nostra. L’inefficienza della macchina amministrativa pubblica, infatti, affiancata spesso ad una legislazione indecifrabile o di difficile applicazione, ha effetti negativi anche oltre i confini italiani, perché scoraggia gli investimenti dall’estero. «I tempi e i costi della burocrazia sono diventati una patologia endemica che caratterizza negativamente il nostro Paese», spiega il segretario della Cgia. «Non è un caso che molti investitori stranieri non vengano qui da noi proprio per la farraginosità del nostro sistema burocratico», aggiunge. Incomunicabilità, mancanza di trasparenza, incertezza dei tempi ed adempimenti onerosi hanno generato quello che Bortolussi definisce «un velo di sfiducia tra imprese private e Pubblica amministrazione che non sarà facile eliminare».

Il settore delle piccole e medie imprese è a un passo dal diventare una sorta di dead man walking. Un cadavere ambulante. «Se teniamo conto – conclude Bortolussi – che il carico fiscale sugli utili di un’impresa italiana ha raggiunto il 68,6%, contro una media presente in Germania del 48,2%, c’è da chiedersi come facciano i nostri imprenditori a reggere ancora il confronto con un fisco ed una burocrazia così opprimenti».

Si va avanti soltanto più per inerzia, oltre che per ostinazione e coraggio. Ma presto potrebbero non bastare più nemmeno questi.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:32