A cosa servono le regioni?

Da un sondaggio recentemente realizzato e commentato da Renato Mannheimer sul Corriere delle Sera di domenica scorsa, emerge che, a causa degli scandali provocati dalla diffusa corruzione su cui sta indagando la magistratura, due italiani su tre non apprezzano le regioni e le considerano istituzioni in cui avviene la dissipazione del pubblico denaro. 

Il governo Monti, sull’onda della indignazione popolare, ha intenzione di  rafforzare i controlli sulla gestione del denaro pubblico da parte delle regioni, ed ha, soprattutto, la volontà politica di  inasprire le sanzioni nei riguardi di quanti adoperino le risorse, destinate alla regioni, per fini che oltrepassino ed esulino dalle attività istituzionali. In base alla modifica del titolo V della Costituzione, introdotta dal centro sinistra, sembrava che nel nostro paese il ruolo istituzionale delle regioni dovesse mutare, dando vita ad uno stato federale. 

In realtà questo non è avvenuto. Infatti negli Stati Uniti, dove il federalismo è sorto, gli stati avevano una autonoma esperienza di governo, che ha preceduto la nascita dello stato federale. Diversamente le nostre regioni sono istituzioni artificiali, che non coincidono, salvo qualche eccezione, con gli stati preunitari, esistenti prima che si pervenisse all’unità nazionale. Inoltre non vi è un sentimento di appartenenza da parte dei cittadini verso le regioni, poiché per i cittadini è il comune, che storicamente ha avuto una durata pluri centenaria, a rappresentare l’autorità dello stato. 

A questo proposito occorre riconoscere che, se in seguito al successo elettorale della Lega Nord la riforma in senso federale dello stato ha dominato la vita politica per tutta la seconda repubblica, in realtà, nel nostro sistema istituzionale si è attuata una semplice devoluzione dei poteri dello stato alle regioni. 

A questo proposito occorre interrogarsi sui risultati che questo cambiamento istituzionale, introdotto con la modifica del titolo V della costituzione, ha reso possibile. In primo luogo occorre constatare che la spesa regionale è esplosa raggiungendo livelli insostenibili, se solo si consideri il costo annuale della spesa sanitaria: 10 miliardi di euro. 

Complessivamente i costi delle regioni rappresentano una parte notevole del bilancio dello stato. Inoltre le regioni hanno dimostrato di non sapere esercitare i poteri e le competenze in materia di energia ed ambiente, ottenuti in attuazione della devoluzione. La gestione della chiusura della discarica di Malagrotta a Roma e quella legata all’inceneritore di Parma costituiscono casi emblematici e esemplari della difficoltà delle regioni a risolvere il problema dei rifiuti prodotti nelle nostre città metropolitane. Per tali ragione e motivi, secondo alcuni studiosi, deve cambiare e mutare radicalmente l’articolazione dello Stato sul territorio, privilegiando ciò che funziona rispetto alla astrazione dei principi generali, legati alla pura esaltazione del modello federale e del ruolo degli enti locali. 

Da questo punto di vista, considerata la incapacità delle regioni ad assumere decisioni capaci di individuare soluzioni per problemi delicati, come la gestione dei rifiuti, è giusto che siano nazionalizzate le competenze in materia di ambiente ed energia, sicchè sia lo stato a scegliere dove creare le discariche e gli inceneritori, come avviene nella maggiori democrazie Europee. 

Inoltre, per impedire che la corruzione e il  malaffare dilagante comportino la dissipazione di pubblico denaro, è necessario trasferire la titolarità delle innumerevoli concessioni e la proprietà pubblica delle aziende dei servizi dai comuni e dalle regioni allo stato, perché li privatizzi, trasformandole in imprese che siano capaci di offrire servizi di alta qualità. 

Non bisogna trascurare la circostanza grave e decisiva che in passato, come hanno svelato le inchieste della magistratura, la criminalità di è annidata proprio nelle società dei servizi, di cui sono titolari i comuni e le regioni. Ovviamente, questo non significa che bisogna pensare di abolire e cancellare le regioni. Tuttavia il territorio è destinato a mutuare in futuro e già si parla con insistenza della necessità di dare vita alle aree metropolitane intorno ai grandi comuni, sicchè sia possibile pervenire alla creazione dei coordinamenti forti a livello delle macroregioni sui temi ambientali e su quelli della energia. 

Pur riducendo la spesa pubblica delle regioni e ridisegnandone il ruolo, in modo da dare attuazione al principio costituzionale delle autonomie locali e territoriali, è fondamentale preservare le competenze della regioni in materia sanitaria. A questo proposito è giusto rilevare che vi è stato u ulteriore fallimento delle regioni, in quanto enti che erogano il servizio sanitario nazionale.  Infatti nelle regioni del nord le cure mediche offerte ai cittadini, per livello di qualità, corrispondono agli standard minimi di efficienza, mentre nelle regioni del sud accade il contrario con un  aggravio dei costi pubblici del servizio. 

Molto spesso i cittadini del sud colpiti da malattie,  per tale ragione, sono costretti a recarsi al Nord per ricevere le cure di cui hanno bisogno, visto che al sud il servizio sanitario non è organizzato in base a parametri di efficienza. 

Per ovviare a questo problema, è necessario un percorso grazie al quale lo stato recuperi il suo ruolo  nel definire gli standard nazionali (livelli minimi di assistenza),  in modo più efficace di quanto sia accaduto finora, e possa commissariare le regioni che, per il servizio sanitario, si trovino sotto gli standard predefiniti.  

Nel caso in cui una regione non sia in grado di offrire un servizio sanitario corrispondente agli standard minimi di efficienza, è giusto che sia commissariata, che lo stato subentri nei suoi poteri e che l’assemblea regionale sia sciolta e siano convocate le elezioni. Per quel che riguarda i trasporti, soprattutto in riferimento alla gestione dei grandi aereo porti come Fiumicino e Malpensa, è fondamentale che sia lo stato ad avere una competenza esclusiva su questo servizio essenziale nell’era della globalizzazione e del flusso costante dei viaggiatori, per evitare disservizi e inutili disagi. 

Secondo questa riflessione, le regioni è giusto che continuino ad avere un ruolo nel nostro ordinamento costituzionale, anche se ne deve essere ripensato il profilo istituzionale e ridimensionate le competenze, per evitare sprechi di denaro pubblico e la possibilità che diventino  fonti di corruzione  e malaffare. 

Si spera che la discussione sulle riforme istituzionali, che si dovrà riaprire nella prossima legislatura, sappia avviare una riforma efficace delle autonomie locali, di cui c’è urgente bisogno.        

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:01